Charles Durand

 

Quest'opera pone in risalto le conseguenze dell'adozione pressoché generale dell'inglese come mezzo di comunicazione internazionale nel campo della ricerca scientifica e tecnologica, subite da circa quarant'anni dai paesi non anglofoni.
Circa 35 anni fa, la maggior parte delle facoltà scientifiche degli Stati Uniti soppresse il loro “Ph.D. foreign language requirement”.
Fino a quel momento, per tutti i futuri laureati americani era obbligatorio dimostrare di di avere piena padronanza di almeno una delle grandi lingue scientifiche, oltre all'inglese, in modo sufficiente per poter comprendere senza difficoltà ogni pubblicazione sulla loro materia redatta in quella lingua.
Le lingue straniere allora riconosciute dalle università nordamericane come "lingue scientifiche" comprendevano di solito un sottoinsieme di lingue indo-europee (tedesco, spagnolo, francese, russo), semitiche (arabo letterario) e asiatiche (giapponese e cinese mandarino).
Oggi, tranne qualche rara eccezione, questo “Ph.D. foreign language requirement” non esiste più tra le discipline scientifiche. Dopo la sua soppressione, sono state esercitate pressioni dirette e indirette nei congressi scientifici internazionali, prima multilingui, affinché essi divenissero progressivamente monolingui, e la stessa tendenza si è applicata alle riviste e giornali che riportano i risultati della ricerca di base, nei paesi anglofoni come altrove.
La scomparsa progressiva dei linguaggi diversi dall'inglese dal campo della comunicazione scientifica internazionale seguiva in effetti le direttive annunciate nel “Anglo-American Conference Report 1961”. Questo documento di natura confidenziale era destinato al British Council, il cui attuale presidente, Tony Andrews, dichiara, del resto senza complessi, che "l'inglese dovrebbe diventare la sola lingua ufficiale dell'Unione Europea" (riportato da Frankfurter Allgemeine Zeitung 27 genn. 2002). Niente di meno!
Parallelamente, numerosi laboratori, istituti, centri di ricerca e anche certe divisioni dell'industria manufatturiera hanno adottao, in diversi paesi non anglofoni, l'inglese come lingua "ufficiale" per le loro attività sotto la pressione dei loro dirigenti col pretesto di necessità commerciali e imperativi di comunicazione su scala planetaria.
"La mise en place des monopoles du savoir" presenta un esame dettagliato della situazione attuale e dimostra che l'adozione ufficiale o ufficiosa dell'inglese come veicolo di comunicazione ufficiale nel solo campo scientifico produce un certo numero di effetti perversi, molto pesanti in rapporto ai vantaggi che questa pratica si ritiene apporti ai suoi promotori.
Più particolarmente nel quadro universitario, essa produce la formazione di monopoli in opposizione assoluta ai principi del libero accesso al sapere nelle istituzioni d'insegnamento superiore libere e aperte.
L'attuale quasi-monopolio del sapere tecnico-scientifico moderno detenuto dagli anglo-americani - che qualcuno rifiuta di ammettere - non è legato soltanto ai meriti dei loro ricercatori e tecnici. In gran parte, è la conseguenza diretta dell'adozione della lingua inglese come lingua internazionale nella scienza e nella tecnologia, che moltiplica dunque la visibilità del mondo anglosassone in questi settori, a detrimento di quella di altri.
Alla fine, l'uso sempre più diffuso dell'inglese nei laboratori di ricerca, sia liberamente scelto sia imposto, produce una vera sterilizzazione del processo creativo, a un allineamento automatico sui temi di ricerca anglo-americana, e a contributi quasi esclusivamente tecnici. Il pensiero scientifico è probabilmente condannato a stagnare finché le lingue diverse dall'inglese non avranno riconquistato il loro stato di strumento di ricerca e di comunicazione a pieno titolo in tutti i settori della ricerca.
Questo libro si indirizza alle università e gli ingegneri coinvolti nelle attività di ricerca. Esso dissacra un soggetto tabù, quello dell'inglese come strumento di comunicazione sempre più diffuso nel mondo moderno della ricerca. Esso denuncia l'ingenuità di chi crede che l'uso di questa lingua sia neutrale, mentre esso implica cambiamenti considerevoli nella natura del progresso scientifico, senza contare gli enormi privilegi economici e politici (a favore delle nazioni anglofone) creati nella sua scia. L'opera manda in pezzi il mito della pretesa necessità di una lingua franca nella scienza e nella tecnica sulla base di argomenti del tutto pragmatici e necessari a tutti coloro che vogliono dare un nuovo impulso alla creatività scientifica. L'opera fornisce numerose spiegazioni e informazioni per comprendere ciò che sta avvenendo. Insieme, essa colma un vuoto che danneggia il pensiero odierno, toccando un problema cruciale, che secondo taluni converrebbe trascurare.