Giulio Soravia è docente di Lingua e letteratura araba all’Università di Bologna. Linguista di formazione, si interessa di Sudest asiatico, in particolare dell’Indonesia (dove ha compiuto molte ricerche), dell’Africa orientale (Somalia, dove ha insegnato per tre semestri), della lingua e cultura dei Rom europei.

MR: L'integrazione delle popolazioni romanes può iniziare anche dal riconoscimento di minoranza linguistica?

 

GS: Il problema più rilevante è di far accettare il principio che i rom sono una minoranza dotata di lingua e cultura propria. I pregiudizi che gravano su questo popolo non favoriscono questa visione. Il riconoscimento avviene, ed è avvenuto, ma senza grandi conseguenze. Del resto chi può essere interessato a questa lingua al di fuori degli studiosi e degli operatori sociali e interculturali?

MR: Dal punto di vista linguistico, è possibile parlare di lingua romanes? Si può parlare di una grande comunità transnazionale?

 

GS: Il romanes è una lingua nel senso che l’origine è comune e la struttura è evidentemente uguale, ma ciò con diversificazioni dialettali marcartissime. I vari dialetti costituiscono un continuum linguistico che alle estremità si presenta reciprocamente incomprensibile, in quanto un rom abruzzese pur condividendo una forma con decine o centinaia di parole in comune, in parte le pronuncia con differenze marcate, ma soprattutto ne usa centinaia di altre prese in prestito da altre lingue, non necessariamente le stesse, e la grammatica cambia. Ciò che un abruzzese dice quando dice “so parlare romanes” è qualcosa come “šti vakkerave romanése” un rom della Bosnia lo dira “šaj vorbì romanèh”, un havato “sti rakéru po romane” e un kalderaš “šaj dav duma romanès”.

L’intellighentsia a livello internazionale ha fatto dei passi per la “creazione” di una lingua standard comune fin dai primi congressi (io ho partecipato al secondo a Ginevra negli anni ’70) ma non ne è venuta a capo. Si trova tutto questo rinarrato nei volumi da me curati Zingaro vuol dire Rom e Manuale di lingua romani (entrambi editi da Bonomo e il primo con ampia bibliografia) e in Dialetti degli zingari italiani (Pacini, Pisa).