La storia della lingua curda (più nello specifico del kırmanji), da “turco della montagna” a “lingua tagliata”, fino ai più recenti tentativi di riconoscimento in una Turchia che aspira a entrare nell’Unione Europea

Pietra angolare della storia della Turchia contemporanea, dunque anche nella sua elaborazione del concetto di ‘minoranza’ e nell’attuazione dei rapporti con le presenti sul suo territorio, è l’anno 1923. Il triennio 1921-23 (la cosiddetta guerra di liberazione, Kurtuluş Savasi) condensa le tappe della genesi della nuova nazione turca, dall'abolizione del sultanato alla proclamazione della Repubblica sotto la presidenza di Mustafa Kemal Pasha, cui l’Assemblea nazionale, tributerà il titolo di Atatürk, ‘padre, progenitore del popolo turco’. Il Kemalismo, che andrà delineandosi come il nerbo spirituale della Nazione, significherà almeno: liberazione nazionale, secolarismo, unità territoriale, modernizzazione, centralizzazione, unità di lingua e cultura; in una neonata realtà statale che, crogiolo di tante genti diverse, necessita di una forte centralizzazione.1 Le ‘sei frecce’ (altı ilke) presentate dal Padre della Patria nel Nutuk (‘discorso’) per eccellenza del 1927, che Kemal lesse per sei giorni di seguito al secondo congresso del partito delineano con grande precisione il disegno politico ideato dal primo presidente della Turchia: (1) milliyetçilik (‘nazionalismo’); (2) cumhuriyetçilik (‘repubblicanesimo’); (3) halkcilik (‘populismo’); (4) devletçilik (‘statalismo’); (5) laiklik (‘laicismo’)2; (6) inkılapcılık (‘rivoluzionarismo’)..

 Alla base della prima costituzione del 1924 sono i principi di millet bütünlüğü (‘integrità della nazione’ e ülkenin ayrılmaz bütünlüğü (‘unità indivisibile della nazione’)3. Si profila da subito l’impossibilità di una definizione di status autonomo per i musulmani non turchi: solo i cristiani greci e armeni e gli ebrei sono formalmente riconosciuti come minoranze, definite tali su base religiosa.

Il Kurdistan, che letteralmente significa “Paese dei curdi”, è termine utilizzato per la prima volta nel XIII secolo da Marco Polo: all’epoca il territorio curdo era composto di 16 province. Fra le più antiche carte geografiche che indicano il Kurdistan, una risale al 1561, mentre la prima storia dei curdi, Sharaf-nama, scritta in persiano, è terminata nel 1596 a opera di Sharif Khan Bidlisi, appartenente a una famiglia reale del Kurdistan del nord. Lo storico turco Celebi, morto nel1682, divide il Kurdistan nelle seguenti province: Erzerum, Van, Diyarbakir, Amadia, Mosul, Şahrazur, Ardalan. Di un territorio geograficamente unitario di circa 500.000 km2 (con una popolazione non calcolabile precisamente, ma che qualcuno fa ammontare addirittura a 40 milioni di individui4), oggi solo una piccola provincia in Iran porta il nome di Kurdistan, mentre l'intera regione è detta in Turchia doğu Anadolu (‘Est’ o ‘Anatolia Orientale’), in Siria Gezirah (الجزيرة[[محافظة), in Iraq ‘Nord’ (حزبالشمالالكردي) o “Regione autonoma”.

Linguisticamente il curdo appartiene al gruppo nord-occidentale delle lingue iraniche5, ed è strumento di comunicazione di una popolazione di decine di milioni di individui, che vivono in maggioranza in un territorio montuoso e suddiviso fra più Stati e in parte in diaspora (in Russia e Germania le comunità più attive).

Le condizioni su cui poggiano i difficili rapporti fra Stato centrale e minoranza curda si delineano da subito come estremamente conflittuali, giocandosi – dagli inizi fino alla più piena contemporaneità – su un continuo equilibrio instabile che va dall’insurrezione e la lotta armata a tentativi politici e diplomatici.

Ad appena 16 mesi dalla proclamazione della Repubblica scoppia l’insurrezione dell’Ararat capeggiata dallo sheikh zaza Said Piran, che vede alleati curdi e armeni; in risposta alla rivolta vi sarà un un atto repressivo a ristabilire un ordine e dimostrare l’efficacia e l’autorità/autorevolezza dello Stato centrale: seguirà fra l’altro la messa al bando delle tarikāt, che proseguiranno comunque clandestinamente contribuendo a importanti influenze di carattere politico e sociale.

Segue, in un’ottica di rafforzamento e di riforma in chiave laica e occidentale del Paese, l’adozione nel 1926 del codice civile svizzero, due anni dopo l’approvazione della Legge 1353/28 Harf İnkılabı sull’adozione e applicazione delle lettere turche all’interno del progetto di de-arabizzazione.

Gli anni Trenta si aprono con una nuova ondata irredentista, ben inquadrabile nel contesto internazionale della ‘questione curda’ (kurt sorusu): l’assassinio, nel giugno del 1930, del capo curdo indipendentista dell’Iran, Simko, da un lato; l’accordo turco-iraniano; e poi ancora, nel 1932, la ribellione di Ihsan Nuri Pasha, che costrinse, il 5 maggio, il Governo turco ad attuare una deportazione di curdi nel tentativo di assimilarli, ponendo la regione curda della Turchia sotto legge marziale (mantenuta fino al 1946) e vietandola agli stranieri fino al 1965.6 Di qui i curdi cominceranno sempre più spesso a essere, anche ufficialmente, definiti dağ Türkleri (‘turchi di montagna’). Tutto questo mentre, a est, scoppiava la rivolta di Ahmed Barzani, che mirava a prendere il controllo su un territorio che andava dalla frontiera turca dell’Iraq fino ad Aqra, a nord di Mossul, e che paradossalmente si ritirava, dopo il fallimento del suo tentativo, in Turchia.

 

Il movimento di ribellione curdo in Turchia si era nel frattempo andato sviluppando in due diverse direzioni: un'ala nazionalista,rappresentata dal Partito democratico del Kurdistan, chiedeva l'autonomia; una più estremista di ispirazione socialista rivendicava l'indipendenza. Il 27 novembre 1978 si celebra il Congresso di fondazione del Partito dei Lavoratori Curdi (PKK), con leader Abdullah Öcalan, detto Apo ’zio’: scopo principale è il riconoscimento della lingua e dei diritti dei curdi. Il progetto rivoluzionario delineato durante il congresso prevede una prima fase di rivoluzione nazionale (creazione di una repubblica curda, di ispirazione marxista-leninista, in territorio turco, prodromica all'unificazione dell'intero Kurdistan) e una seconda fase, di rivoluzione democratica (instaurazione di una dittatura del proletariato per eliminare lo sfruttamento latifondista, la struttura sociale basata sui clan e la condizione di inferiorità della donna).

 

Forse anche per individuare una via di conciliazione, nel 1980 Turgut Özal, di parziale ascendenza curda, successivamente primo ministro e poi ottavo presidente della Repubblica, tenta di sondare la possibilità del riconoscimento della minoranza curda e la sua lingua, ma non ottiene l’appoggio del parlamento e dell’esercito, che reputano invece tale via improduttiva. Il colpo di stato del 12 settembre produce un ritrovato irrigidimento di posizioni: dalla lotta ai dissidenti (cfr. ad esempio l’incarceramento del sociologo İsmail Beşikçia causa dei suoi saggi sul Kurdistan) alla stretta della nuova Costituzione del 1982, che non solo ribadisce come resmi dil (‘lingua ufficiale’) il turco in quanto ülkenin dili (‘lingua dello Stato’), ma pone ulteriori restrizioni all’uso di altre lingue anche in ambito privato.7 Le prese di posizione della politica interna turca, insieme al disagio socio-economico dell’Anatolia sud-orientale, condurranno, a partire dall’agosto del 1984, all’ulteriore radicalizzazione e alla scelta del terrorismo.

 

Il primo attacco armato del PKK contro l’esercito turco, che promuove dichiarati intenti separatisti (özgür irade, ‘auto-determinazione’, e bağimsizlik, ‘indipendenza’, sono le parole-chiave per i nazionalisti che si considerano halk, ‘popolo, nazione’, prima che azınlık, ‘minoranza’) motiva Turchia e Iraq a rinnovare un accordo segreto già siglato nel 19798. Un picco di feroce aggravamento si registra il 13 marzo 1990: una autentica insurrezione, a seguito della morte di 13 peshmerga in uno scontro armato, costringe il governo centrale ad affidare a un super-prefetto del Sud-Est poteri straordinari, da guerra civile. Si sopprime la libertà di stampa, in una situazione internazionale che proprio dall’inizio dell’anno vede aggravarsi la ‘questione curda’ a causa della Guerra del Golfo.

 

Nel 1991 viene abolita la legge del 1983, che vietava l’utilizzo del curdo in pubblico, mentre si vara la Terör karşıtı kanunu (no.3173): in tale clima di tentata apertura - pur restando in vigore il divieto dell’ultilizzo del curdo per fini politici e nonostante i frangenti di lotta interna con il PKK - lo stesso Presidente Özal, all’inizio dell’anno, ammise pubblicamente9 l’esistenza in Turchia di 12 milioni di curdi, con una loro propria lingua e cultura, proponendo l’adozione di un “modello basco”; in ottobre, alla prima seduta parlamentare, sette deputati del DEP azzardano il giuramento nella loro lingua madre, guadagnandosi - inteso l’atto come provocazione - sospensione dell’immunità parlamentare, arresto e condanna a dieci anni di carcere.

Il tentativo di dialogo continua l’anno successivo con la Fondazione del centro curdo di Istambul (http://www.enstituyakurdi.org/), mentre Klamek ji bo Beko (‘Un canto per Beko’) di Nizamettin Ariç (primo film in curdo, coproduzione armeno/tedesca) raccoglie grandi successi e il 5 novembre dello stesso 2002 la convenzione europea (ETS 148), con la Charte européenne des langues regionales au minoritaires10, riconosce al curdo lo status di lingua.


All’interno di un clima che sembra andare distendendosi, in cui l’Occidente comincia a riconoscere anche nel PKK aspetti di attività terroristica (la Germania occidentale lo bandirà dal suo territorio il 22 novembre 2003), scoppia l’affaire ‘Zana’: prima donna curda eletta nel Parlamento di Ankara, dopo avere sollevato la questione kurda davanti alla Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa l’anno precedente, Leyla Zana sceglie, insieme ad altri tre deputati curdi, di prestare giuramento in turco e in curdo 11. In un frangente, come quello della guerra del Golfo, dove si va delineando una sorta di “indipendenza di fatto” di un Kurdistan liberato che potrebbe essere aggregante di realtà circostanti (il mullah Bakhtiyar, capo del PUK - Unione Patriottica del Kurdistan, ripropone l'idea di un «grande» Kurdistan), l’arrestro di Leyla Zana acquista valenze simboliche immense, così come pure il Premio Sacharov che riceverà l’anno successivo dal Parlamento Europeo e la candidatura, nel 1996, al Nobel per la pace.

 

Il 1998 si apre con l’arresto ad Ankara di Hemres Reso (Hamdi Turanli)12, primo segnale di una tensione interna al Paese che si manifesterà di lì a poco con la messa fuorilegge del RP – Refah Partisi e il bando per l’ex primo ministro Necnattin Erbakan dall’attività pubblica per cinque anni. La stretta nei confronti del terrorismo del PKK si fa sempre più serrata: Ocalan, che dalla Siria guidava le campagne armate sin dal 1984, è costretto a fuggire prima a Mosca e in seguito a Roma, fino alla cattura, il 15 febbraio 1999, in Kenia che si concluderà con la reclusione a vita (la pena di morte comminatagli è abolita su richiesta di adeguamento alle direttive dell’Europa) nell’isola-penitenziario di Imrali: è la svolta della strategia del PKK, dalla lotta armata a nuovi tentativi di abboccamento politico-istituzionali13, in un anno significativo per la Turchia che ottiene, durante il vertice di Helsinki, lo status di Paese pre-candidato all’ingresso nell’UE14.

 

In una ridda di interrogazioni e accuse (dalle diverse istituzioni politiche, Parlamento europeo in primis, ai giornali) sulle restrizioni alla libertà di espressione e dei diritti delle minoranze, la Turchia prosegue indefessa un’opera di adeguamento alle direttive europee che si spiega solo con la volontà piena e consapevole almeno della sua classe dirigente di entrare a far parte dell’EU.

Mentre nell’aprile del 2002, nel suo ottavo congresso, il PKK si rigenera nel KADEK e il AK – Adalet ve Kalkynma Partisi (il partito conservatore fondato da Erdoğan, che risorge dalle ceneri del RP) porta a casa alle elezioni 367 posti in parlamento su 550, si susseguono magnis itineribus gli “Harmonization Packages”: il secondo il 23 marzo, il terzo il 3 agosto, il quarto (il cosiddetto “Copenhagen Package”) il 2 gennaio 2003, il quinto il 23 gennaio, il seso il 19 giugno, il settimo il 30 giugno.15

Accanto ad accuse di discriminazioni, sempre di difficile rilettura e interpretazione, si va profilando, con i fisiologici progressi alternanti di un processo lungo e complesso, un periodo di liberalizzazione molto forte: dalla possibilità di scegliere liberamente il nome dei propri figli, al parlare curdo e pubblicare testi in lingua, al festeggiamento del Newroz (il capodanno curdo celebrato il 21 marzo).16

 

Mentre Recep Tayyp Erdogan si arroga il merito, nel dicembre dello stesso anno, della candidatura della Turchia a membro dell’UE (dichiarando che portare la Turchia in Europa significa avere completato il processo kemalista di raggiungimento della muasır medeniyet, la ‘civilizzazione contemporanea’), in ottobre vi è l’adozione del nuovo codice penale (Yeni Türk Ceza Kanunu), con i due dibattutissimi Art. 216 (ex 312 del vecchio codice) e Art. 301 (ex 159 del vecchio codice), e la nuova interpretazione e applicazione dell’art. 222 (legge 1353 del 1928), che sanziona il reato di ‘violazione dell’alfabeto turco’ (Türk alfabesinin ihlali).17

Nell’agosto 2005, a a Diyarbakir, Erdoğan (che già medita la campagna elettorale delle future politiche) pronuncia un discorso storico riconoscendo l’esistenza di una questione curda e gli errori dello Stato e garantendo l’impegno del governo a porvi rimedio, creando un certo imbarazzo del mondo politico e dell’establishment, mentre il 14 settembre viene sottoscritto il protocollo opzionale della Convenzione ONU contro la tortura. Il processo di riconoscimento del curdo è tuttavia di difficile valutazione, anche perché sempre a rischio di strumentalizzazione in favore o contro il Paese in generale, e più nello specifico alla sua possibile ammissione nell’Unione: a fianco di queste aperture, con cauti tentativi di un “new deal”, la TFF (Turkish Football Federation) protesta ufficialmente, e ottiene ufficialmente le scuse della FIFA, per un accenno alla lingua curda all’interno della sezione dedicata alla Turchia nell’almanacco internazionale del 2006.

 

Mentre il 28 giugno 2008 il Ministro dell’Interno tedesco, Wolfgang Schäuble, vieta a Roj TV, il canale televisivo curdo che trasmette dalla Danimarca, di diffondere i suoi programmi in Germania, affermando che svolge attività di propaganda del PKK, in Turchia il 1° gennaio 2009 si inaugurano le trasmissioni di TRT6 (Şeş in curdo), televisione pubblica che trasmette in curdo (per ora in kirmanji, successivamente anche in sorani e zazaki) 24 ore al giorno, ottendendo dall’Alta Istituzione per la Radio e la Televisione  (RTURK) il permesso di prolungare gli orari di trasmissione oltre i 45 minuti al giorno permessi per legge.18 Slogan della TV durante le prove di trasmissione è: Ayni gökyüzü altında yaşıyoruz (‘viviamo sotto lo stesso cielo’); direttore un ex-diplomatico curdofono nominato dal governo, Sinan Ilhan, già sostenitore del colpo di stato del 1980, che ha affermato: «Si tratta di fornire dei programmi che possano contribuire alla presa di coscienza democratica della popolazione del Paese». Alla cerimonia di apertura, dove il presidente del dipartimento educazione ha dichiarato che dipartimenti di lingua e letteratura curda saranno aperti in due università (Istambul e Ankara), il premier Erdogan, nel suo messaggio augurale, ha dichiarato che l'apertura di Trt6, “un canale per la famiglia rispettoso dei valori della nostra nazione, che si rivolga alle cittadine e ai cittadini di ogni età”, è “un passo che rafforzerà l'unità e l'integrità del nostro paese. Tutti i nostri cittadini hanno uguali diritti e libertà. La democrazia è una grande piazza in cui tutti hanno il diritto e l'opportunità di esprimersi» sottolinenado la “valorizzazione delle differenze”; mentre Diren Keser, direttore della programmazione di Gün-TV, rete televisiva locale di Diyarbakir, subito polemizza sulle agevolazione concesse alla nuova emittente e mai ottenute dalla sua.

C’è chi ha sorriso del fatto che la televisione statale in lingua curda abbia inaugurato le sue trasmissioni a poche settimane da un discorso del premier nelle zone curde in cui risuonavano parole quali: «Questa è la Turchia, la terra dei turchi, la lingua che si parla qui è il turco. Se vi piace, bene. Se non vi piace, andatevene da qui»: le elezioni amministrative del 29 marzo, insieme a tutte le promesse elettorali di rito e qualche piccolo trasformismo, possono illuminare più di un dettaglio e le ambiguità emergono significative. Emblematico è il rifiuto di Sivan Perwer, cantautore fra i più amati dal popolo curdo, a presenziare alla giornata inaugurale, per la motivazione ideale - a suo dire - di essere stato costretto «a lasciare il mio paese, i miei cari e la mia gente perché cantavo in curdo, la mia madrelingua», o perché - come riportato sul quotidiano Hürriyet - la sua richiesta di compenso (sessantamila dollari a puntata per un programma musicale di cadenza settimanale) sarebbe risultata eccessivamente onerosa alla TRT.

Il caso TRT mette a nudo le problematiche di un Paese che sta maturando: da un lato le cantanti Nilufer Akbal e Rojin vengono aspramente criticate per aver «venduto il loro popolo per i quattro soldi dello stato turco». Dall’altro Abdullah Demirbas, eletto nel 2004 e rimosso dal suo incarico per aver tradotto anche in curdo i materiali prodotti dalla sua municipalità sintetizza con efficacia il significato dell'operazione TRT6: «Siamo di fronte a un nuovo tassello nella politica statale di repressione dei curdi. Io sono stato silurato perché ho usato il curdo. Migliaia di persone in questo paese sono quotidianamente sotto processo perché usano il curdo”.

 

Mentre alla fine dello scorso marzo la pop star Ajda Pekkan rilanciava, durante un concerto di beneficenza, la canzone “Keçe Kurdan”, recepita – proprio anche per il profilo della cantante – non un incitamento alla violenza ma simbolo di fratellanza fra popoli, la questione curda resta la ‘K-word’ (per usare un gioco di parole intraducibile in italiano, che ben rende la percezione del problema a livello internazionale) della nuova Turchia e della sua immagine agli occhi della vicina Europa.

Mentre il Paese sta cercando di armonizzare, fra le difficoltà e i contrasti della sua storia, le nuove istanze di integrazione, libertà, democrazia e rispetto delle minoranze, in un’ottica di grand’angolo (e nell’attesa del tanto agognato, almeno da parte turca, 2014) l’Europa sappia saggiamente considerare, senza cadere nelle trappole e nei viluppi di pregiudizi e stereotipi, se davvero la Turchia sia o meno un Paese europeo, cercando di sviluppare, nella prospettiva lungo la quale si è spinta a modernizzare la sua struttura legale e sociale nei confronti delle minoranze, una reale volontà di ricerca di scenari futuri di convivenza possibile: che quello che i curdi hanno vissuto in Turchia non rischi di farsi in qualche forma modello nel rapporto in statu nascenti del Vecchio Continente nei confronti dei turchi più in generale (curdi inclusi).

Se, come ben riassume il motto “United in Diversity”, la ricchezza di un continente è data anche dalla varietà e dall’ibridazione delle diverse lingue e culture, forse anche l’UE potrà rileggere – come in uno specchio – il travaglio socio-istituzionale della Turchia nel dibattito serrato e duro cha sta fortemente condizionando l’accettazione delle successive ammissioni a quello che, restando nella percezione e nella sensibilità turca, qualcuno ha polemicamente definito il “Club cristiano”, anche considerando il pericoloso effetto-boomerang che produrrebbe una eventuale bocciatura: forse lo stesso primo ministro Erdoğan, con il suo ambiguo ammiccamento alle forze più retrive e conservatrici19 e il sempre più radicato e diffuso euro-scetticismo, è figlio delle imbarazzanti incertezze e delle incoerenti titubanze di un’Europa che a fatica sta ancora cercando di individuare appieno la natura vera della sua identità.20

 

 

* Il presente articolo è una rielaborazione ridotta, realizzata da Massimo Ripani, del contributo, dal medesimo titolo, presentato da Davide Astori, Università di Parma, al Convegno “Terze Giornate dei Diritti Linguistici” - Università di Teramo - Faeto (Foggia), 20-23 maggio 2009

1 Tanto necessaria e pressante è sentita tale necessità di una forza centripeta che garantisca l’unità del Paese, che anche da un punto di vista di storia della linguistica in tale ottica si inquadra e si giustifica la Güneş-Dil Teorisi. Cfr. per un primo inquadramento almeno Lewis G., The Turkish Language Reform. A catastrophic Success, Oxford University Press, Oxford 1999, pp. 57-74 e Zürcher E.J., La Théorie du ‘langage-soleil’ et sa place dans la réforme de la langue turque, in Auroux S. (ed.), La Linguistique fantastique, Denoël, Paris 1985, pp. 83-91. Porterebbe lontano, ma non può non essere almeno anche solo citata, la rivoluzione linguistica (Dil Devrimi) di Atatürk che, dalla fondazione nel 1928 della Commissione Linguistica per la riforma dell’alfabeto alla nascita, nel 1931, della Türk Dil Kurumu, La Società degli studi sulla lingua turca, con la finalità di sorvegliare il processo linguistico di trasformazione in atto, ha portato alla creazione di quello öz türkçe, ‘turco purificato’, che ha fortemente contribuito alla nuova coscienza collettiva del Paese. Programmatica è la riflessione di Virtanen O.E,.. Recent Changes in Turkey’s Language Legislation.: CIEMEN (Escarre International Centre for Ethnic Minorities and Nations), Barcelona 2003, p. 28: “Turkish language policy has a dual role: on the one hand, the modernisation and secularisation of society and, on the other, the integration of people from diverse religious, linguistic and ethnic backgrounds under a common national identity. This complicated series of relations emerging from this pocture has made language policy issues a delicate topic in Turkish politics. The fundamental role of language in Turkish modernisation and nation-building processes has conferred an almost sacred character to language issues. Thus, until recently, discussions on language policy, loaded with emotions and ideological connotations, have easily extended to the fundamental principles of the Republic”.

2 Dal punto di vista religioso più nello specifico, la fondamentale legge del 20 maggio 1928, che introduce la separazione fra potere religioso e potere politico abrogando l’articolo della costituzione del 1924 che dichiarava l’Islam “religione ufficiale” dello Stato, insieme alla fondazione del Direttorato degli affari religiosi (İşleri Başkanlığı Diyanet) il 3 marzo 1924, delineano il Paese come laico di cultura musulmana.

3Il concetto di ‘indivisibilità della nazione’, che il Prof. Oktay Uygun ha defininito “unfamiliar to the Europeans”, sarà successivamente ribadito come Ülkenin milletiyle ve toprağıyla ayrılmaz bütünlüğü (‘unità indivisibile dello Stato con il suo territorio e nazione’) in molte altre leggi successive.

4 Per una fonte autorevole e recente v. Minority Rights Group International. 2007. A Quest for Equality: Minorities in Turkey. (on line: http://www.avrupa.info.tr/Files/MRGTurkeyReport%5B1%5D.pdf) [ISBN 1 904584 63 2], p. 11.

5Per una prima alfabetizzazione linguistica si rimanda almeno ai classici: Blau J., “Le kurde”, in Schmitt R. (hrg.), Compendium Linguarum Iranicarum, Wiesbaden 1989, pp. 327-335; Khan Kamuran B., Le kurde sans peine, Institut Kurde de Paris, Paris 1989; Paul L., Kurdisch Wort für Wort, Peter Rump Verlag, Bielefeld 1999 (Kauderwels Band 94); Wurzel P., Rojbaş-Einführung in die kurdische Sprache, Ludwig Reichert Verlag, Wiesbaden 1997; o ancora, per una breve presentazione in italiano, Astori D., Parlo curdo, Vallardi, Milano 2006.

6 In questo clima prende forma la Mecburi İskân Kanunu (n. 2510) del 14 giugno 1938 e la sua dura applicazione.

7 La severità della legge n. 2820 del 24 aprile 1983 relativa allo statuto dei partiti politici si inquadra in questo clima di profonda tensione interna ed esterna al Paese.

8 Tramite esso si consente ai due Stati di intraprendere azioni militari all’interno dei rispettivi confini, fino a una profondità massima di 18 miglia, agevolando da un lato la Turchia nel frangente terroristico, permettendo all’Iraq di tutelarsi eventualmente dalle rivendicazioni di Idriss Barzani che, sulla base di una carta dell’80, esige che siano riconosciuti come territori curdi da integrare nella futura regione autonoma non solo Kirkuk e Kanaqin, ma la regione del Sindja e i suoi giacimenti petroliferi di Ain Zaleh.

9La congiuntura internazionale sta maturando le due risoluzioni ONU: la 687/91 (3 aprile) sulla regolazione del ‘cessate il fuoco’ e la creazione della “no-fly zone”; la 688/91 (5 aprile) in favore del diritto di ingerenza umanitaria in contrasto al principio di non-ingerenza negli affari interni di uno Stato membro.

10 Per evidenti motivi la Carta non è ratificata dalla Turchia (come fra l’altro anche da altri Paesi).

11 Così suona l’inizio del suo discorso: Ez vê sondê li ser navê gelê kurd û tirk dixwîm (Bu yemini Türk ve Kürt halklarının kardeşliği adına ediyorum).

12Poeta, scrittore e politico, Turanli, cittadino tedesco, è iscritto alla SPD dal 1968, membro del Consiglio dell'Associazione per i popoli minacciati (APM) e Presidente del Partito democratico del Kurdistan (KDP) della Turchia.

13Nell’atto di difesa, documento interessante dell’ottica curda, Apo descrive i rapporti fra il suo popolo e i turchi a partire dal 1071, sottolineando che “il conflitto risale a tempi recenti, quando il governo centrale ha vietato di usare la lingua curda a suola e in televisione”, puntando l’attenzione proprio sul significato fondante e imprescindibile della lingua: “La punizione inflitta ai curdi e la loro fuga nel terrore sulle montagne ha portato all'emergere del Pkk”, spiega il leader curdo, a parere del quale la guerriglia separatista potrebbe finire se la Turchia riconoscesse i diritti culturali dei curdi e inserisse "la lingua curda nella vita privata e nei documenti pubblici". L’ambiguità delle dichiarazioni continua a far pensare a un possibile doppio registro di risposta del PKK: se da un lato si afferma che “questa deve essere l'ultima ribellione curda. La lotta del Pkk deve finire“, dall’altro Ferhan Harran, responsabile del Pkk in Europa, dichiarerà (notizia che rimbalzerà anche sui nostri giornali italiani – v. ad esempio Repubblica del 23 giugno): che “se Ocalan viene condannato, la lotta armata contro la Turchia si intensificherà”.

14 V. il sito ufficiale: http://www.europarl.europa.eu/enlargement_new/applicants/turkey_home_en.htm.

15 Dalla European Parliament resolution on Turkey's application for membership of the European Union (COM(2002) 700 – C5 0104/2003 – 2000/2014(COS)), testo estremamente significativo e tutto da meditare (on line: http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?objRefId=11311&language=EN) riprendiamo solo alcuni punti più legati a quanto sviluppato nella sede presente: “34. Calls on Turkey to ensure cultural diversity and guarantee cultural rights for all citizens irrespective of their origin, to ensure effective access to Radio/TV broadcasting, including private media, and education in Kurdish and other non-Turkish languages through implementation of existing measures and the removal of remaining restrictions that impede this access; 35. Calls on Turkey to take further steps – within the context of the country’s territorial integrity – to comply with the legitimate interests of the Kurdish population and members of other minorities in Turkey and to ensure their participation in political life; 36. Respects the position of Turkish as the first national language, but underlines that this should not be to the detriment of other indigenous languages (such as Kurdish and Armenian) and liturgical languages (such as Aramaic/Syriac), the use of which constitutes a democratic right of citizens”. V. anche la sezione Racommendations contenuta in Minority Rights Group International. 2007. A Quest for Equality: Minorities in Turkey. (on line: http://www.avrupa.info.tr/Files/MRGTurkeyReport%5B1%5D.pdf) [ISBN 1 904584 63 2], pp.33-36.

16Cfr. la legge 5.12.2003/25307 Türk vatandaşlarının günlük yaşamlarında geleneksel olarak kullandıkları farklı dil ve lehçelerin öğrenilmesini hakkinda yönetmelik” (http://mevzuat.meb.gov.tr/html/25307_0.html) – versione inglese “Regulation on the teaching of the different languages and dialect traditionally used by Turkish Citizens in their daily lives” (on line: http://www.usefoundation.org/view/879)

17 Viene punito chiunque utilizzi caratteri e lettere non previste nell’alfabeto turco (quali la X, la W e la Q, molto utilizzate nella lingua curda). Se il caso del ministro turco dell'ambiente, che con una norma del 4 marzo 2005 modifica i nomi latini di tre animali (la Vulpes vulpes kurdistanica sarà più semplicemente Vulpes vulpes, la pecora selvatica Ovis armeniana diventerà Ovis orientalis anatolica e il cervo Capreolis capreolis armeniusCapreolis capreolis capreolis) è chiaramente una provocazione, la sanzione comminata il 26 ottobre dal tribunale di Siirt, nel sud est dell’Anatolia, a venti persone che durante le celebrazioni del newroz avevano innalzato cartelli contenenti parole con q, x e w rientrano nella logica repressiva dell’uso della lingua come incitamento al separatismo e al terrorismo.

18 Cfr. la legge 25.01.2004/25357 “Türk vatandaşlarının günlük yaşamlarında geleneksel olarak kullandıkları farklı dil ve lehçelerde yapılacakradyo ve televızyon yayınları hakkında yönetmelik” (http://www.mevzuat.adalet.gov.tr/html/21719.html) – in versione inglese “Regulation Concerning Radio and Television Broadcasts in Languages and Dialects Used Traditionally by Turkish Citizens in Their Daily Lives” (on line: http://www.usefoundation.org/view/880).

19 Significativi i versi di Ziya Gökalp con cui concluse il suo comizio pubblico del 6 dicembre 1997, che gli guadagnò dieci mesi di carcere, di cui quattro scontati: Minareler süngümüz, kubbeler miğferimiz, camiler kışlalarımız, müminler askerlerimiz (“I minareti sono le nostre baionette, le cupole i nostri elmetti./ Le moschee sono le nostre caserme, i credenti i nostri soldati./ Questa armata divina protegge la mia religione./ Allah è grande, Allah è grande”).

20 Queste sono le parole, emblematiche del più generale approccio del pensiero turco, di Kaharaman 2000: 6: “recognizing that Central and Eastern Europe could be seen as an integral part of European history and that enlargement is the only means to censure these countries return to Europe, adds a cultural dimension to the whole process. In other words, the definition of Europe and “Europeaness” have been linked closely to geography, politics and culture, and therefore create concern among some countries, notably Turkey and Russia”.