Sergio Maria Pisana, “europeo di Sicilia” per sua stessa ammissione, ne "La mia Europa" ripercorre la sua esperienza di europeista e federalista, raccontandoci gli eventi che hanno cambiato il vecchio continente.

MR: Il processo di allargamento dell’UE e l’euroscetticismo sembrano direttamente proporzionali: quali sono le Sue considerazioni al riguardo? Cosa è cambiato rispetto al passato ?

SMP: Chi legge già le prime pagine del mio libro si accorgerà che fin dalla fine degli anni Sessanta, quando l’Europa comunitaria era formata dai soli sei Paesi fondatori, formulavo l’alternativa fra allargamento della Comunità europea con l’ingresso della Gran Bretagna, certamente seguita da altri Paesi, e consolidamento della Comunità a sei con creazione di strutture di tipo federale, indicando nell’allargamento il pericolo di rendere il cammino verso la Federazione europea più difficoltoso, anzi addirittura impossibile, almeno “nel prossimo ciclo della politica europea e mondiale”.

SMP: Il che si è poi puntualmente verificato, essendo a tutti noto che la Gran Bretagna ha sabotato sistematicamente ogni trasferimento, sia pur timido e limitato, di sovranità al livello europeo, tanto da confermare il sospetto che essa avesse chiesto di entrare nella Comunità per poterla controllare dall’interno, contenendone ogni spinta che andasse al di là di una mera zona di libero scambio.Non a caso, la scelta dei governi nazionali è andata nel senso dell’allargamento. Non solo il governo inglese, infatti, ma anche gli altri – nessuno escluso, ad onta delle parole – erano favorevoli a quel tanto di cooperazione europea che fosse loro di immediato vantaggio, ma in realtà vedevano ogni vincolo veramente federale, cioè ablativo di parti sostanziose di sovranità, come il fumo negli occhi. Chiedere ai governi nazionali di fare l’Europa – è detto in un’altra parte del mio libro – è come pretendere che i re facciano la repubblica. Quando essi dicevano di voler unificare l’Europa a poco a poco, cominciando dall’economia, col metodo che veniva definito “funzionalistico”, essi parlavano e agivano in mala fede, ben sapendo che con tal metodo si potevano stringere solo legami “confederali” tra i governi, valevoli finché non sorgesse tra loro una qualunque divergenza d'interessi; ma lo Stato federale si crea d'un colpo solo, perché la sovranità non si può trasferire a poco a poco, bensì con una volontà e un'azione immediata.

Oggi, la situazione è ancora peggiorata. Se l’Europa “carolingia” (come veniva chiamata quella dei Sei) aveva almeno una certa comune ispirazione storica e tradizionale, i ventisette Paesi membri dell’Unione hanno non solo interessi, ma – quel ch’è peggio – tradizioni diverse. Difficoltà enormi vengono frapposte, ad esempio, da Paesi come la Polonia, anche quando si tratti di argomenti di interesse davvero non ragguardevole. L’Unione continua – dopo un cinquantennio – ad occuparsi per lo più di questioni tecniche e di dettagli mercantilistici che restano ignoti ai popoli, i quali rimangono lontani dall’Europa, ben sapendo che il potere reale resta ancora saldamente in mano ai governi nazionali (che d’altra parte poi nel contesto mondiale contano sempre meno).

  Ed anche sotto altri aspetti, l’Europa istituzionale di oggi è ben lontana da quello che avevamo sognato e auspicato. Non ci piace questa Eurolandia esclusivamente anglofona, in cui lingue illustri e diffuse come lo spagnolo e l’italiano sono bandite e discriminate. È del marzo 2009 la notizia che una mozione recante emendamenti a un testo sul multilinguismo, presentata al Parlamento europeo dalla slovena Ljubmila Novak, in cui si evidenziava che il principio della pari dignità di  tutte  le  lingue non è garantito quando una delle lingue nazionali, l’inglese, è usata di fatto come “lingua franca”, e che meglio servirebbe a tal uopo scegliere una lingua neutra come l’esperanto, è stata bocciata senza nemmeno essere  discussa,  e  senza  che  si  potessero contare i voti favorevoli e quelli contrari. In realtà, non si può essere veramente federalisti europei se si accetta che una sola lingua – che non a caso è quella del capitalismo internazionale – fagociti inesorabilmente tutte le altre lingue e le altre culture. 

MR: Quali sono state (e quali saranno) le occasioni perse per un’UE più forte?

SMP: Ma guardi: la prima occasione persa è stata quella della CED (Comunità europea di difesa), affossata nei primi anni Cinquanta dal voto contrario dell’Assemblea nazionale francese: creare un esercito europeo avrebbe significato mettere fianco a fianco l’italiano, il francese, il tedesco a dividere gli stessi pericoli e la stessa sorte, e avrebbe cementato lo spirito d’appartenenza a una comune Patria europea assai più che il mettere insieme il carbone e l’acciaio.

Una seconda occasione perduta è stata l’elezione a suffragio universale del Parlamento europeo, nella quale i federalisti europei avevano riposto tante speranze, che, del resto, avevano il loro esatto pendant nei timori che nutrivano gli avversari. “Qualsiasi assemblea eletta a suffragio universale è sovrana. E' inutile venirci a dire che i suoi poteri saranno limitati: il suffragio universale non si limita”: così l'ex segretario generale dell'U.D.R. Sanguinetti, ne Le Monde del 14 e 16 dicembre 1975. Cui faceva eco Michel Debré, l’ex primo ministro gollista: “Si dice che la competenza di questa assemblea è limitata alle attribuzioni della Comunità economica europea e che i nuovi parlamentari avranno soprattutto delle competenze tecniche. Questa affermazione è inesatta. Non esiste esempio di assemblea eletta a suffragio universale che accetti di mantenere poteri limitati. Designati dal suffragio universale, i parlamentari, liberi da qualsiasi vincolο di lealismo e padroni del loro tempo, vorranno sottolineare il loro potere mettendo da parte le regole che saranno state loro imposte” (Le Monde del 5 e 18 dicembre 1975). Insomma, non era azzardato prevedere che dal Parlamento europeo eletto dal popolo si avviasse un periodo pre-costituente. Questo, però, se in tale Parlamento fossero state presenti personalità politiche eminenti (erano state avanzate le candidature di  G. Agnelli, W. Brandt e F. Mitterand). I detentori del potere, ossia i partiti nazionali, furono astuti, e impedirono il realizzarsi di questa condizione, candidando al Parlamento europeo personaggi di second’ordine, tratti per lo più dal mondo dello spettacolo o dell’informazione, i quali sono rimasti saldamente attaccati alla greppia partitica, speranzosi di passare prima o poi ad incarichi più effettivi, ossia a quelli nazionali. Tutto si è risolto nel mettere un certo numero di poltrone a disposizione dei partiti, rimasti organizzati a livello nazionale ad onta delle pompose denominazioni dei loro raggruppamenti strasburghesi (Partito popolare europeo, Partito socialista europeo, e simili).

La terza occasione sprecata è stata la creazione della moneta unica, che avrebbe potuto davvero rappresentare il salto di qualità se accompagnata da un centro di spesa unico, a livello europeo. Invece si è voluto fin dall’inizio tenere separate politica e moneta, col consentire alla Gran Bretagna di rimanere nell’Unione pur conservando gelosamente la propria sterlina. Così la moneta europea ha portato vantaggi e svantaggi (oggi cento euro non valgono più circa 200.000 lire, ma appena la metà), ma nulla, assolutamente nulla, sul piano dell’unità politica.

Quanto al trattato di Schengen, basti considerare che l’Unione è latitante anche in tema di immigrazione di extracomunitari, lasciando ogni Paese a sbrigarsela da solo, quando avrebbe potuto e dovuto legiferare e operare in materia a livello europeo. Quali saranno le occasioni perse per un’Unione europea più forte? Probabilmente l’incapacità di assumere un atteggiamento comune di fronte al terrorismo islamico, lasciando che ciascun Paese se la cavi da sé secondo quello che crede essere il suo interesse. Magari a danno del Paese europeo confinante.

MR: Una Sua previsione per l’UE fra quarant’anni.
 
SMP: É fin troppo facile prevedere che il mondo di domani sarà dominato da cinque colossi continentali: gli Stati Uniti d’America, la Federazione russa, la Cina, l’India, il Brasile. La Federazione europea entrerebbe certamente nel gruppo di quelli che contano, ma non credo che l’Unione europea diventerà veramente una Federazione, cioè che ci saranno davvero gli Stati Uniti d’Europa: le occasioni ci sono state, e le si è lasciate svanire, sicché è difficile che si ripresentino. Gli stati europei, divisi, non conteranno nulla, e forse – come diceva non ricordo chi - mia nipote farà la badante di qualche vecchio cinese.
Certo, mi piacerebbe credere non solo e non tanto che esisterà domani una Europa unita, ma soprattutto che sarà qualcosa di diverso dagli altri stati, che riuscirà a incarnare grandi valori e ne diventerà nel mondo paladina e propagatrice. Ma è immaginabile che un siffatto evento, del tutto nuovo nella storia millenaria dell’uomo, possa realizzarsi davvero?