Garbhan MacAoidh

 

“Ĉu nur-angla Eŭropo?” Traduzione in esperanto dall'inglese di Istvan Ertl di English-only Europe ? di Robert

Phillipson. Edizione UEA,Rotterdam, 2004« 254 pgg.. Prezzo presso FEL: 21,00 euro + affrancatura

di Garbhan MACAOIDH

Alcuni anni fa apparve la notizia che Papa Giovanni Paolo II aveva annunciato all’inizio di un convegno di alti prelati in Vaticano che intendeva usare durante l'evento l'inglese quale lingua di lavoro, in quanto, aveva sostenuto, "l'inglese è il nuovo latino dei nostri tempi". Tuttavia, malgrado l'asserzione di Ulrich Matthias nella sua opera «Esperanto, la nova latino de la Eklezio” (Esperanto, il nuovo latino della Chiesa) che ovunque si parli italiano, il latino è ancora la lingua ufficiale della Santa Sede. Si potrebbe quindi considerare questa decisione del Papa un colpo mortale contro la lunga egemonia della lingua che una volta era stato il mezzo di comunicazione culturale di tutto il mondo occidentale. Si teme che gli eroici sforzi degli umanisti come Vera Barandovska-Frank per la conservazione del diritto del latino al suo uso quale lingua inter­nazionale rimangano senza speranza se non del tutto vani. Nello stesso tempo si moltiplicano le voci che considerano l'Esperanto come una utopia senza futuro e l'inglese già vincente la battaglia per un predominio che non potrà essere più intaccato.

Noi tutti sappiamo che nel corso della civilizzazione occidentale diverse lingue hanno assunto il compito di mezzo di comunicazione internazionale, almeno tra la minoranza colta. Così nei relativi periodi funzionò il greco "koinè", il latino medioevale e fino alla prima metà del secolo 20° il francese, lingua della diplomazia e dell'Unione Postale Universale. Il più a lungo è durato l'uso del latino, quale lingua della chiesa, della scienza, dell'educazione e della letteratura. Oggi predomina l'inglese, o più giustamente l'angloamericano. Ma non si può confrontare l'attuale egemonia dell'inglese come lingua mondiale con quella del latino.

Scrive Phillipson:

Durante il medioevo e dopo, il latino non si è legato ad alcun sistema particolare politico o economico, oltre che al feudalesimo e all'istituzione religiosa. Al contrario, la lingua inglese ha svolto un ruolo cardine nel capitalismo industriale, e lo svolge ancora nell'ordine mondiale instaurato dal neoliberismo economico, il cui principale fautore sono gli USA. Dopo la caduta dell'impero romano, il latino non è stato la lingua materna di nessuno, contrariamente all'inglese ora. Esiste una diseguaglianza tra gli uomini, nella comunicazione tra coloro per i quali l'inglese costituisce la lingua materna e gli altri, per i quali essa è straniera o la seconda lingua. Questa disparità di comunicazione non è evidenziata quando si dice che l'inglese è una lingua ponte, poiché questo concetto sembra presupporre una parità di comunicazione per tutti.

Quando fu fondata la Comunità Europea (l'attuale Unione Europea, Ue) il francese era la lingua di lavoro più usata per soddisfare le esigenze interne di quella organizzazione. Dopo l'ingresso della Gran Bretagna e dell'Irlanda, sempre più si è rafforzato il ruolo dell'inglese, principalmente a causa dell'adesione di altri stati membri nord europei (Danimarca e Svezia), nei cui territori era già insegnato l'inglese quale prima lingua straniera. Ulteriore fattore in relazione a questo fenomeno e l'influenza politica, sociale culturale e della potentissima economia degli USA.

Fino all'adesione nel 2004 di dieci nuovi stati membri, l'Ue riconosceva 11 lingue ufficiali. L'adesione dei dieci ne ha aggiunte altre nove. Nel luglio 2004 il governo irlandese decise di richiedere il riconoscimento quale lingua di lavoro del gaelo-irlandese. Secondo lo stato giuridico dell'Unione tutte le lingue già esistenti hanno parità di diritti. L'Ue si è impegnata a rispettare, proteggere e coltivare le diversità linguistiche e culturali dell'Europa. In teoria ciò attiene non soltanto ai popoli parlanti le menzionate lingue ufficiali, ma anche alle minoranze etniche e alle loro lingue, ai loro dialetti ed alle loro tradizioni culturali, sebbene le loro lingue non siano considerate come ufficiali o come lingue di lavoro dell'Ue.

Tuttavia in pratica altre forze agiscono contro il raggiungimento di tale scopo dichiarato, e sempre più contribuiscono alla supremazia di una, cioè l'inglese. Persino la Francia, la quale ostinatamente prova a conservare lo storico stato giuridico e ad espandere la egemonia della propria lingua quale mezzo precipuo della cultura europea, nello stesso tempo apre le porte alla influenza della lingua inglese ed alle idee, pratiche e modo di vivere angloamericani. L'inglese è insegnato come la prima lingua straniera nelle scuole francesi. Lo stesso fanno molti stati membri dell'EU. A quanto sembra, anche i nuovi membri excomunisti accolgono con entusiasmo l'inglese quale mezzo di comunicazione, si può. supporre, come reazione alla lingua russa, usata nei rapporti tra gli stati posti sotto l'influenza sovietica.

Parecchi governanti e autorità del mondo cosiddetto anglosassone (ad es. l'ex primo ministro britannico Margaret Thatcher, il Consiglio Britannico, diversi politici statunitensi, etc.) non hanno mai nascosto l'intenzione di far diventare l'inglese la principale, se non l'unica lingua di tutte le sfere della società umana. Alcuni difensori estremisti di questa politica addirittura contrastano l'insegnamento e l'apprendimento delle lingue straniere. Abbondano citazioni che dimostrano ciò. Eccone alcune:

"L'Inghilterra sarà la forza predominante nella politica interna­zionale, la nazione guida del mondo. E' necessaria un'armata di missionari della lingua, che dovranno costruire le fondamenta di una lingua mondiale e di una cultura basate sulla nostra"(R.V.Routh, L'espansione della cultura inglese all'estero. Cambrìdge University Press, 1941).

"Il vero oro nero della Gran Bretagna non è il petrolio del Mare del Nord, ma la lingua inglese. La nostra sfida è come sfruttarlo pienamente."(Rapporto annuale del Consiglio Britannico, 1987-88).

"Se l'Europa ha un futuro, essa ha bisogno più di una moneta unica. Essa deve avere una lingua comune e questa può essere soltanto l'inglese." (Daily Mail, 14 novembre 1991).

"La lingua inglese è diventata in realtà la lingua ponte dell'Ue. Quasi ogni opinione immaginabile dell'uomo, quasi tutti i sentimenti umani sono espressi nella lingua inglese".(Abram de Swaan - non

inglese ma olandese ! - , Words of the world, The global language System, 2Q01).

La lingua angloamericana è diventata veicolo per l'espansione dei valori della società anglosassone. Condoleeza Rice, Consigliere per gli affari esteri di George Bush, ha asserito: "Per il resto del mondo è più proficuo che gli USA curino i propri interessi, poiché i valori statunitensi sono universali."

Leggendo l'articolo Should everyone speak english ( Dovremmo tutti parlare inglese ?) che apparve il 13 agosto 2001 nell'edizione europea della rivista Business Week, si sottintenda: è assolutamente inutile la capacità di usare altre lingue.

I paesi di lingua inglese hanno già constatato che l'insegnamento della loro lingua è un affare importante. In Irlanda, la cui lingua e cultura celtica sono quasi scomparse sotto la pressione della lingua inglese, abbondano scuole per insegnare la lingua inglese agli stranieri. La diffusione del­l'inglese dà un grandissimo vantaggio economico ai paesi di lingua inglese, a danno dei popoli la cui lingua materna non è l'inglese. Addirittura più grave, l'inglese è, secondo l'espressione di Phillipson, "la lingua del cuculo". Come quell'uccello del malau­gurio, che getta via le uova degli altri dal loro nido e vi mette il suo. Nella lingua francese questa pratica del cuculo è detta ''glottofagie', cioè lingua cannibalesca.

Il nostro giardino culturale si impoverisce sempre più; sembra che non fioriranno più in esso mille piante, ma soltanto una. In passato altri potenti stati (per es; la Francia e la Spagna durante la dit­tatura di Franco) vietarono e perseguitarono le lingue locali, ma nessuno di quei casi di discriminazione linguistica fu tanto effi­ciente e conseguì tanto successo quanto l'invasione dell'inglese.

Phillipson fa un gran numero di commenti ben centrati. Riguardo alle tragiche conseguenze della fine della Jugoslavia di Tito, egli scrive: "Tutto ciò offre una lezione interessante a coloro che considerano l'inglese una lingua postnazionale e postetnica." Egli cita George Steiner: "una lingua di tipo creolo per tutto il mondo, basata sull'anglo-americano, è una prospettiva distruttiva.

La odierna globalizzazione, con i suoi corollari linguistici, com­porta altre gravi conseguenze. Phillipson cita Monbiot: " In nessun posto... si permetterà l' esistenza di forti leggi protet­tive dell'ambiente e dei diritti umani. I rappresentanti eletti saranno null'altro che agenti del governo mondiale dei principali dirigenti corporativi". Phillipson agginge: "Può essere che l'inglese funzioni come un tirannosauro della scienza.. Esiste il rischio che venga monopolizzata la conoscenza e soffocata la creatività."

Inoltre la posizione monopolistica dell'inglese rappresenta un pericolo perfino per i madrelingua inglese. "In Inghilterra l'erronea credenza che l'inglese apra tutte le porte nel mondo, conduce al fatto che i cittadini britannici non sono affatto prepa­rati ad essere efficienti in un mondo multilinguista."Ecco la con­clusione dell'inchiesta sulla lingua ad opera di Nuffield nell'anno 2000: "L'inglese non è sufficiente. L'uso esclusivo dell'inglese lascia la Gran Bretagna indifesa, dipendente dalle capacità lingui­stiche e dalla benevolenza altrui." Non è una sana situazione che i parlanti la lingua inglese vivano in un ghetto monolinguistico senza accesso alle culture, idee, letterature, scoperte e inven­zioni altrui.

L'autore prevede un ruolo positivo per l'Esperanto: "Si dovrebbe seriamente considerare l'uso dell'esperanto come una lingua ponte o cardine per parlare e scrivere all'interno della Ue.

I lettori di questo libro e gli osservatori dell'Europa e del mondo attuali non possono negare che l'inglese diventi un cavallo di Troia, donato con astuzia dai potenti imperialisti della mondializzazione, e accettato ciecamente da società di lingua e cultura diverse, che incuranti aprono enormi portoni per accoglierlo.

Phillipson termina questo libro con le seguenti parole: "Se conti­nuerà l'inerzia nella politica linguistica a livello sovranazionale e nazionale, ci dirigeremo verso un'Europa su una base linguistica puramente anglo-americana. Dunque vogliono questo i cittadini e i governanti dell'Europa?"

Tra gli uomini che lodano e raccomandano questo libro c'è Neil Kinnock, vice presidente della Commissione Europea. Interessante e forse significativo è il fatto che Kinnock non è inglese ma gallese. Il popolo gallese ha combattuto lungamente e ancora combatte con fervore per conservare la propria antica e culturalmente ricchissima lingua etnica. Ci si deve caldamente congratulare col traduttore, Istvan Ertl la evidente qualità della sua traduzione in esperanto dall'originale inglese. Il recensore è completamente d'accordo con l'opinione espressa sulla copertina posteriore di questo libro: "Ĉu nur-angla Eŭropo? deve essere assolutamente letto da tutti coloro cui interessa il futuro dell'Europa Unita". Nello stesso tempo esso fornisce importanti lezioni a coloro che, nelle altre parti del globo, non ancora prendono coscienza dei pericoli della mondializzazione e dell'imperialismo linguistico. Acquistalo e leggilo e, se sei europeo, dona un esemplare al tuo parlamentare europeo!

Garbhan MACAOIDH

Traduzione di Pino Lalli