L'inventore dell'esperanto, la lingua parlata da 3 milioni di persone nel mondo

Il 14 aprile di 100 anni fa si spegneva a Varsavia dopo un lungo viaggio un medico polacco, riconosciuto poi nel 1959 dall'Unesco come “una delle grandi personalità dell'umanità”. Un uomo dal cuore generoso come Don Chisciotte, ma che al contrario di quest'ultimo era mosso da alti e concreti ideali e non dai vaneggiamenti nati dalla lettura di romanzi cavallereschi.

Lejzer Zamenhof aveva iniziato il suo ultimo percorso verso casa dalla Francia, ed attraversando l'Europa in conflitto aveva visto le sue speranze infrangersi, così come il suo ultimo “Appello ai diplomatici”, in cui si si era schierato a fianco delle minoranze etniche e religiose, sottolineando che “ogni paese deve appartenere moralmente e materialmente a tutti i suoi abitanti naturali e naturalizzati, qualsiasi sia la loro lingua, religione o supposta provenienza”. Purtroppo la storia ebbe un altro corso. Iniziarono il macello dei popoli, orrori ed atrocità, come il genocidio degli armeni, che non si sarebbero arrestati nei decenni a seguire.

Sin dall'infanzia il giovane Lejzer odiava i muri e le barriere. Se avesse portato i jeans, potrebbe sembrarci un uomo del nostro tempo. E lui, di ghetti ed esclusione, ne era ben conscio, essendo nato in una famiglia ebrea a Bjalistok, città polacca allora sotto il controllo dell'impero zarista. Nel 1887 l'idea a cui il giovane Lejzer pensava e lavorava da molto tempo divenne lingua. Anzi, la lingua per cui molti oggi lo ricordano. Zamenhof, infatti, in quell'anno presentò a Varsavia la sua “Lingvo Internacia”: un fondamento neutrale sul quale i diversi gruppi umani possono pacificamente e fraternamente mettersi in comunicazione. Lejzer aveva firmato il suo opuscolo come il “dottor Esperanto” (il dottore speranzoso) e presto il suo pseudonimo divenne il nome della sua lingua.

Nel progetto esperantista possiamo individuare le radici teoriche dell’Hillelismo e dell’Homaranismo, i due progetti di fratellanza umana teorizzati da Zamenhof che si differenziano tra loro per le comunità a cui essi si rivolgono: mentre il primo è stato pensato per gli ebrei, il secondo “riguarda tutti i popoli e le religioni”.

Negli ultimi anni del XIX il mondo ebraico si rifletteva sul concetto di popolo ebraico e su quale dovesse essere il suo collante: cercando una filosofia comune e contrapponendosi all’ebraismo di stretta osservanza, Zamenhof elesse quale figura esemplare quella di Hillel, citato nel Talmud, coevo di Gesù e capo del Sinedrio, il quale dava particolare importanza all’amore verso il prossimo. Zamenhof ben presto realizzò che si potesse andare oltre, pensando quindi in un’accezione più larga: nel 1906 veniva pubblicato l'”Homaranismo”, nel quale l’Autore auspicava la ricerca della giustizia ed uguaglianza tra i popoli, raggiunta tramite l’uso di una lingua e di principi religiosi neutrali.

Nel 1914 il Congresso Universale di esperanto era stato organizzato a Parigi, ma lo scoppio della guerra costrinse tutti i convenuti al ritorno in patria, compreso lo stesso Zamenhof. La sua vita si è spenta, ma le sue idee continuano a camminare su altre gambe e sono attuali oggi come allora. Non muri, non odio e non discriminazione. Questo coraggioso medico polacco cercava lo scambio umano. La tolleranza. La mutua comprensione. E noi?