Il problema linguistico in Europa va visto all’interno di un programma politico ed educativo che riguarda l’intera UNIONE EUROPEA. Esso è sostanzialmente pensato come soluzione del problema della comunicazione fra i popoli europei ed ha perciò carattere eminentemente educativo, ed anche come mezzo per costruire quell’identità europea di cui abbiamo bisogno come cittadini di quello Stato federale di cui andiamo lentamente, ma necessariamente, ponendo le fondamenta. Occorre anche prender coscienza del fatto che la supremazia della lingua inglese non costituisce affatto lo strumento migliore per giungere a delineare le caratteristiche - dinamiche, non statiche - dell’identità europea.

Questa egemonia, che si sta inesorabilmente affermando nelle scuole d’Europa, e che va considerata come un pericolo per la cultura e per la sopravvivenza delle lingue del nostro continente (alcuni autori parlano di glottofagia), è un dato di fatto che pregiudizialmente rende vana e inattuale ogni proposta di plurilinguismo quale obbiettivo per tutti i cittadini europei. È una ipocrisia, un inganno perché in realtà ci si trova di fronte a un ferreo monolinguismo in tutti i campi più importanti della nostra società. Si arriva perfino - senza nessuna rivolta, senza nessun sussulto sdegnoso - ad accettare di essere classificati come scemi del villaggio - il villaggio globale? - qualora non si conosca la lingua inglese!! Il plurilinguismo non farebbe che estendere ad alcune lingue - con il tempo ad una sola - una inaccettabile primogenitura (Comenio).

Detto questo, non si vuol proporre l’abolizione dello studio delle lingue, ma vederlo come un programma particolare per quanti si interessano della loro conoscenza per ragioni culturali, storiche, scientifiche: lo studio delle lingue come programma specialistico, allo stesso modo che lo è lo studio della fisica, della chimica, ecc. Nella situazione attuale in cui veramente tutti possono venire a contatto con tutti è necessario pensare ad una lingua comune che possa mettere questi tutti in contatto diretto fra loro.

Tale proposta nasce non oggi, ma qualche secolo fa, quando Comenio (1592-1670) - dal quale la scuola e l’educazione d’oggi ha ereditato i suoi fondamenti - propose la creazione di una lingua universale così che chiunque vorrà, potrà viaggiare in qualunque continente e regione del mondo sapendo di capire tutti e di essere da tutti capito (La via della luce, cap. XIX, 6). Comenio aveva pensato di costruire una lingua a tale scopo che, in quanto neutrale e quindi di tutti, sarebbe stata l’antidoto adatto a qualsiasi pretesa egemonica, ma il suo tentativo falli. Ci riuscì invece Lazzaro Ludovico Zamenhof (1859-1917), l’inventore dell’esperanto (che ottenne l’assenso di linguisti come De Saussure, Martinet e, in Italia, di B. Migliorini). Dal punto di vista razionale ed educativo non esiste proposta migliore di questa. Essa è, inoltre, coerente con il progetto di FEDERAZIONE EUROPEA che dalla fine della seconda guerra mondiale costituisce il più fecondo e insostituibile programma politico per garantire il futuro pacifico dei nostri popoli. Questa Federazione, peraltro, è presupposto imprescindibile affinché una lingua comune si affermi nel suo ambito, perché soltanto essa ne renderà evidente la necessità e perché soltanto essa sarà in grado di esigerne l’insegnamento (accanto alla lingua materna).

La costruzione della Federazione europea contribuirà senz’altro a ridimensionare la pressione che necessariamente esercita un’unica potenza mondiale e creerà le condizioni per un equilibrio a vantaggio di tutti quei Paesi costretti oggi, per forza di cose, a subire gli effetti negativi derivanti dalla posizione dominante degli Stati Uniti, uno dei quali è il predominio linguistico.