Innanzi tutto voglio ringraziare Renato Corsetti, il presidente dell'Associazione Mondiale per l'Esperanto, per il fatto che mi ha invitato a partecipare a questo congresso e quindi ad avere la possibilità di portare il mio modesto contributo al lavoro degli esperantisti.

Al giorno d'oggi è necessario rompere la barriera di silenzio imposta dai mezzi di comunicazione di massa e dalla oligarchia, da cui hanno ricevuto tale incarico. Gli esperantisti non solo promuovono l'esperanto. Essi richiedono anche il diritto, che i popoli hanno per la loro dignità, di pensare e lavorare nelle proprie lingue, di vivere secondo le proprie culture, di essere se stessi completamente e senza intrusioni. Le associazioni esperantiste hanno molte cose in comune con altri gruppi, che sono sorti negli scorsi quindici anni in diverse parti del mondo e particolarmente in Europa. Questi gruppi si occupano della difesa di molte lingue nazionali, che la plutocrazia mondiale vorrebbe considerare semplicemente dialetti, ed il cui ruolo diverrebbe così essenzialmente folcloristico. Ecco perché l'alleanza tra gli esperantisti e le associazioni appena citate è altamente auspicabile. Ritengo inoltre che esistano tutti i fattori necessari per fare di questa alleanza una vera simbiosi, che ci aiuterà molto più efficacemente a diffondere i nostri messaggi.

Al giorno d'oggi gli esperantisti sono i soli a proporci una lingua veramente internazionale e acquisibile da tutti. Non voglio qui descrivere i vantaggi dell'esperanto, poiché voi tutti li conoscete molto meglio di me che ancora non parlo la vostra lingua. Tuttavia altri ci dicono, che la lingua materna di un gruppo, rappresentante non più del 6-7% della popolazione mondiale, è la lingua universale, e questo ci crea un problema molto serio. Infatti, se una lingua naturale è proclamata 'universale', questo contemporaneamente sottintende che le altre non lo sono. Se una lingua possiede delle 'superiorità' rispetto alle altre, ciò ovviamente evidenzia la inferiorità delle altre. Questo viene definito “duplice qualificazione”, ed è molto imbarazzante poiché, se una lingua “supera” le altre, i suoi parlanti ugualmente saranno considerati che lo si voglia o no “superiori” ai parlanti delle altre lingue.

Vorrei qui aprire una parentesi. Noi tutti sappiamo, che prima del 1960 esisteva negli USA una stretta divisione razziale basata sulla cosiddetta inferiorità dei negri. In quel tempo inchieste approfondite avevano dimostrato che la maggior parte degli stessi negri pensavano allo stesso modo. Questo intreccio di opinioni è sempre esistito tra colonizzatori e colonizzati, tra dominanti e dominati. Ora, noi constatiamo una simile situazione tra le persone di madre lingua nella cosiddetta lingua universale e gli altri. La quasi sistematica discriminazione che favorisce i madrelingua inglesi è una conseguenza naturale della “superiorità” consentita alla lingua inglese, così che in molte nazioni la lingua inglese è formalmente riconosciuta come la sola lingua da usare ad esempio negli scambi internazionali tecnico-scientifici. Anche le procedure di assunzione discriminanti esistono soltanto per la convinzione - comune dei madrelingua inglesi e di quelli che non lo sono - della cosiddetta “superiorità” della lingua inglese. Questo colpevole accordo, tra quello che non è altro che un gruppo dominante ed un gruppo dominato, sta producendo all'interno di tutte le organizzazioni internazionali - non obbligate a percentuali di assunzioni - disuguaglianze evidenti, che le tendenze attuali possono soltanto rafforzare.

In Europa alcuni tentano di convincersi che la conoscenza dell'inglese è divenuta indispensabile per le regole commerciali e per i bisogni di comunicazione a livello planetario. Mentre, come noi sappiamo, se gli scopi di questo studio fossero soltanto pragmatici, gli apostoli della intercomprensione universale dovrebbero rivolgersi all'esperanto e non all'inglese! Non si può non constatare che l'inglese ha al giorno d'oggi nell'Europa continentale un ruolo analogo a quello svolto dal russo prima del 1990 nei paesi satelliti dell'Unione Sovietica e nelle repubbliche ad essa annesse. Il sociolinguista Luois-Jean Calvet ha sottolineato in quel processo delle tappe molto simili a quello che si constata attualmente nell'Europa occidentale per quanto riguarda la lingua inglese. L'inesistenza di una politica linguistica nelle repubbliche di madre lingua diversa dal russo ebbe come conseguenza l'acquisizione di un gran numero di vocaboli dal russo, soprattutto nelle sfere scientifica e tecnica. In tal modo, molto rapidamente le lingue locali si sono autoisolate in molti campi, mentre il russo si è affinato nelle funzioni informative, ufficiali e scientifiche.

Nel 1975 durante una conferenza avvenuta a Tashkent fu proposto l'insegnamento della lingua russa ovunque a partire dall'asilo, e successivamente nel 1979, durante un'altra conferenza a Tashkent avente come tema "La lingua russa: lingua di amicizia e di collaborazione dei popoli sovietici", fu suggerito di obbligare gli studenti a redigere i propri compiti in russo. Seguirono manifestazioni a Tibilisi (Georgia), Tallin (Estonia), piccole ribellioni negli altri paesi baltici, petizioni di intellettuali giorgiani, ecc.. Alcuni linguisti presero coscienza che la propria lingua si sarebbe dissolta nel russo. Accadde quindi un fenomeno di assorbimento voluto delle lingue sovietiche da parte della lingua russa, assolutamente non voluto dai popoli, ma al contrario dipendente completamente dalla potenza e dalla politica linguistica della Russia di fronte ai propri paesi satelliti. E' evidente, che nei paesi europei si sta svolgendo un processo analogo, e questo fa pensare, che la costruzione di un'Unione europea faciliti il rapido processo di satellizzazione del vecchio continente nei confronti degli Stati Uniti d'America. In Unione Sovietica i prestiti dal russo diminuivano le differenze tra le lingue in favore del russo. Applicato allora in Unione Sovietica ed attualmente nell'Europa continentale, questa specie di imperialismo linguistico prende naturalmente diverse strade, influendo contemporaneamente la politica scolastica ed universitaria, la pianificazione linguistica e i mezzi di comunicazione di massa. L'imperialismo linguistico non sarebbe troppo pericoloso, se non fosse la dimostrazione di un imperialismo crudo e semplice, e basta osservarlo per valutarne le implicazioni.

In molti paesi qui rappresentati i mezzi di comunicazione di massa immettono nelle lingue nazionali, in modo del tutto artificiale, centinaia di parole nuove anglo-americane, che sostituiscono, in tal modo il vocabolario locale.

Avviene così per l'italiano, il tedesco, il francese, lo spagnolo, lo svedese. Nelle pubblicità il senso di modernità, di cosiddetta “alta” tecnologia, di mobilità, di scienza, di libertà, di efficacia, di successo professionale, di ricchezza e perfino di sport, è espresso quasi sempre con termini anglo-americani, che sostituiscono del tutto artificialmente i vocaboli delle lingue materne, che quindi vengono ferite. Questa inarrestabile intrusione crea nella popolazione un riflesso di Pavlov, che favorisce non soltanto lo studio della lingua inglese ma anche l'accettazione della grande superiorità anglosassone dal punto di vista culturale, economico e politico da parte delle società nazionali, che soffrono di questa situazione.

Rémi Kauffer, professore in una prestigiosa scuola di politologia ("Sciences Po") di Parigi, scrive nel suo libro intitolato "L'arma della disinformazione. La guerra delle compagnie internazionali contro l'Europa":

"Imponendo i propri concetti, i propri vocabolari, le proprie visioni del mondo, gli Stati Uniti tentano di incatenare i propri rivali ad un modo di pensare creato per loro, in modo da imprigionarli ed impedire loro di uscirne. Imporre il proprio bagaglio etimologico significa vincere la prima battaglia. Da “brainstorming” a “wargame”, da “teenagers” a “fastfood”, da “management” a “benchmarking” gli americani sono avanti a tutti. Grazie a questa costante intrusione l'influenza angloamericana si può diffondere. A partire dalla élite di governo, dagli ambienti economici, fino agli eserciti “avanzanti” delle media borghesia, penetrando nelle classi popolari. Una battaglia di parole, una battaglia di immagini. Per il fatto che l'americanizzazione dei termini e delle idee coesistono con l'americanizzazione dei consumi, questo fenomeno diventa uno dei mezzi di sostegno più efficace per l'intrusione delle ditte americane nei mercati in evoluzione. Quindi, anche se commerciale, qualsiasi guerra è prima di tutto una guerra degli spiriti. Non è nemmeno comparabile con la "blitzkrieg" (guerra lampo) psicologica pensata e diretta ad uno scopo specifico. La disinformazione al contrario causa un'azione continua attentamente orchestrata con grandi mezzi tecnici, finanziari, umani". Questa spiegazione è quindi geografico-politica e conferma pienamente le parole di Zbigniew Brzezinski, quando afferma che "l'Europa è diventata un protettorato americano".

Le nostre cosiddette “élites” non sono assolutamente coscienti, che chi possiede i vocaboli e la lingua possiede anche il pensiero, e che possedendo il pensiero altrui si possiede tutto il resto. Questa ignoranza è generalizzata. Così l'uso generalizzato dell'inglese, come definizione e mezzo di presentazione della scienza, dà ovviamente una più ampia visibilità ai lavori scientifici dei popoli anglofoni, mentre mette al margine gli altri, tanto più in quanto i lavori vengono redatti in lingua inglese, e quindi essi devono immettervi i postulati anglofoni per quanto riguarda la forma ed il contenuto. Da questo ha origine la mimetizzazione o imitazione, che ha conseguenze catastrofiche, perché guida secondo lo spirito della concorrenza a programmi, che non possono rispondere ad una logica veramente nuova. Per il fatto che sono effettivamente i paesi anglosassoni a definire le norme della “buona scienza”, è ovvio che la scienza dei paesi anglosassoni si presenti come 'superiore' rispetto a quella degli altri paesi. Fino a quando i ricercatori scientifici stranieri, coscientemente o incoscientemente, si sentiranno inferiori, usando l'inglese per scrivere i propri elaborati, essi si mostreranno dei semplici mezzi di diffusione della ricerca scientifica anglo-americana e non potranno valorizzare pienamente il proprio lavoro.

Quindi, la conoscenza di una lingua che pretende di essere “universale” permette un più alto livello di prosperità? Sembra che il governo di Taiwan lo creda, considerando che hanno appena assunto mille insegnanti madrelingua inglesi per elevare il livello di conoscenza dell'inglese dei propri giovani. Tuttavia, quello che ho notato in occasione della conferenza del novembre 2002 in quel paese, se guardiamo agli stati vicini, vediamo che le Filippine, dove il livello di conoscenza della lingua inglese è senz'altro il più alto della regione, sono la nazione più misera dell'Asia sudoccidentale dal punto economico!

Un'unica lingua riduce il numero di modi di dire e di punti di riferimento, e ignora le scuole di pensiero attive nelle altre lingue. Non è possibile affidare ad altri il governo delle definizioni e delle rappresentazioni del sapere umano. Ecco perché la lingua di comunicazione internazione deve essere assolutamente anazionale, e l'esperanto è attualmente la sola lingua che possiede tale requisito.

La mia battaglia è una battaglia per la libertà dello spirito, poiché questa libertà è la condizione essenziale per tutte le altre libertà. Io sono oggi con voi poiché gli esperantisti fondamentalmente la pensano allo stesso modo.