Renzo Titone è titolare della cattedra di Psicopedagogia del linguaggio e della comunicazione nella Facoltà di Psicologia dell’Università di Roma “La Sapienza” e professore di Psicolinguistica Applicata nell’Università di Toronto, in Canada. Ha pubblicato circa 100 volumi su argomenti di pedagogia, linguistica, glottodidattica, psicolinguistica e oltre 400 articoli scientifici sugli stessi argomenti.

Ha fondato nel 1968 e dirige tuttora la “Rassegna Italiana di Linguistica Applicata”. È consulente dell’Unesco e del Consiglio d’Europa per le lingue straniere. Ha diretto in Italia, per il Ministero della Pubblica Istruzione, la sperimentazione che ha portato all’introduzione dell’insegnamento della lingua straniera nella scuola elementare.

È socio onorario della Federazione Esperantista Italiana.


* Articolo pubblicato su “Rassegna italiana di linguistica applicata”, Bulzoni editore, anno XX n. 3, settembre-dicembre 1988.

 

L’anno 1987 ha segnato il primo centenario della nascita dell’Esperanto. Segno che esso è l’unica lingua ausiliaria internazionale sopravvissuta, tra le altre cinquecento escogitate in modi e tempi diversi; segno, anzi, della sua crescita, del suo consolidamento, della sua espansione. Vale quindi la pena di tentare un bilancio, almeno parziale, della situazione culturale e sociale di questa lingua, costruita dall’oculista polacco Lazar Zamenhof. Cosa che faremo riepilogando alcuni studi, di diversa mole e diverso intento, apparsi in occasione del Centenario: tre articoli apparsi su riviste diverse: Germain Pirlot, Langue espéranto. Aperçu de la propédeutique de l’espéranto, ‘‘Le Langage et l’Homme’’, Vol. 22 (1987), fasc. 3, pp. 1-4; Claude Piron, Espéranto: le point de vue d’un écrivain, ‘‘Le Langage et l’Homme’’, Vol. 22 (1987), fasc. 3, pp. 5-12; Dan Maxwell, On the acquisition of Esperanto, ‘‘Studies in Second Language Acquisition’’, 10, 1988, pp. 51-61.

 

1 Valore propedeutico-linguistico dell’Esperanto

Il breve scritto dell’insegnante Germain Pirlot (1987) sottolinea i pregi della struttura linguistica dell’Esperanto, partendo da una affermazione di André Martinet (UNESCO, 16 dicembre 1986):

“Bien que marqué par les langues européennes dans son vocabulaire, l’espéranto est une langue qui fonctionne bien; d’une grande simplicité, il a gagné le droit à être la langue auxiliaire du monde entier».

Anche se le proposte avanzate da parecchi Stati di introdurre nelle scuole l’insegnamento dell’Esperanto hanno avuto finora poco seguito, è giusto ricordare che i corsi di Esperanto continuano a progredire sensibilmente a livello dell’istruzione superiore. Nel 1976, trenta università e istituti superiori distribuiti in quindici Paesi insegnavano ufficialmente questa lingua; tali cifre si sono elevate rispettivamente a 56 e a 15 nel 1981, a 79 e 17 nel 1983, a 125 e 28 nel 1986.

Il valore multilaterale di questa lingua è stato illustrato e riconfermato da interessanti ricerche realizzate dal 1975 al 1982 dall’Istituto di Cibernetica di Paderborn e Berlino con la partecipazione di circa 600 studenti. I risultati mostrano che il livello degli alunni, che hanno seguito un corso di Esperanto come “corso di orientamento linguistico”, era in media superiore a quello dei loro condiscepoli nelle quattro aree: geografia, matematica, lingua materna e lingua straniera (inglese).

Come si spiega tale fatto?

1) Geografia - Data la sua relativa facilità, l’Esperanto permette di mantenere corri-spondenza epistolare con classi straniere destando l’interesse degli alunni per gli altri Paesi e le altre forme di cultura. Così, dopo solamente quattro mesi di corso, una classe del collegio “Nôtre-Dame de la Paix” di Erpent (Namur) aveva ricevuto circa 300 cartoline da 31 Paesi; tali contatti sono sfociati tra gli altri in vacanze all’estero per una ventina di giovani namuresi e sloveni in scambio tra loro.

2) Matematica - La notevole regolarità della grammatica come pure della costruzione delle parole ne fanno una lingua logica che si impara sia mediante il ragionamento che mediante la memoria: potenziando di conseguenza le capacità logiche di base.

3) Lingua materna - Per varie ragioni l’Esperanto si rivela un prezioso aiuto nello studio della prima lingua. L’analisi è chiara grazie alle desinenze regolari: es.

-o per il sostantivo: eraro errore

-a per l’aggettivo: erara errato/erroneo

-e per l’avverbio: erare erroneamente

Le famiglie lessicali si costruiscono con assoluta facilità e costituiscono altrettanti esercizi di arricchimento del vocabolario. “Giocando”, per esempio, con gli affissi e la radice varm- (caldo), lo studente può formare una quarantina di parole:

-o (sostantivo): varmo calore

-a (aggettivo): varma caldo

-e (avverbio): varme calorosamente

-i (infinito): varmi essere caldo

-eg- (accrescitivo): varmega bruciante, scottante

-et- (diminutivo): varmeta tiepido

-ig- (fare, rendere): varmigi riscaldare

-iø-i (divenire): varmiøi scaldarsi

-ebl- (possibilità): varmigebla riscaldabile

mal- (antonimo): malvarma freddo

ecc.

Sovente anche la traduzione in Esperanto potrà far meglio comprendere l’uso delle preposizioni:

egli va a Roma li iras al Romo (direzione)

egli è a Roma li estas en Romo (situazione)

egli va passo passo li iras paþon post paþo

egli pesca con la lenza li fiþas per lineo (mezzo)

egli pensa a sua madre li pensas pri sia patrino

a martedì øis mardo.

Così il confronto servirà a porre in evidenza casi di ambiguità della costruzione in italiano rispetto all’Esperanto.

Es.: Noi l’amiamo più di voi

a) Ni amas lin pli ol vi (soggetto: più che voi l’amate)

b) Ni amas lin pli ol vin (più di voi: noi lo preferiamo a voi)

in cui un accusativo indicato dal suffisso -n dona all’Esperanto una grande flessibilità nella espressione precisa dei significati.

4) Lingue straniere - L’Esperanto si presenta come eccellente propedeutica all’apprendimento di altre lingue, sia moderne che classiche, grazie a:

a) il suo vocabolario internazionale: secondo i risultati di uno studio realizzato su 4 156 radici, il 65% erano comuni all’Esperanto e al latino, 1’81% al tedesco, 1’89% all’inglese, 1’87% allo spagnolo, il 91% al francese, 1’89% all’italiano, il 53% al russo;

b) le sue caratteristiche: affine alle lingue agglutinanti (turco, giapponese, ungherese) e alle lingue dette isolanti (cinese, malgascio), tra l’altro nella costruzione delle parole, come illustrato dai seguenti esempi.

Da: land- (tedesco) + dao (cinese) + ras (francese) + zu (cinese) + religi- (francese) + jao (cinese) + urb- (latino) + cheng (cinese), si ottiene facilmente:

samlandano tonguoren compatriota

samideano tongdaoren chi condivide la stessa idea

samrasano tongzuren con-razziale

samreligiano tongjaoren correligionario

samurbano tongchengren concittadino

c) la sua combinatorietà in diverse strutture: la posizione delle parole nella sequenza sintattica, nella frase è abbastanza libera, non vincolata come in altre lingue da precise regole posizionali, dando all’allievo un senso di libertà che ne facilita l’uso.

Tutto ciò spiega come mai quegli studenti che hanno affrontato l’Esperanto come prima lingua abbiano acquisito il senso della dinamica linguistica, della struttura sistemica, della normatività semplificata, preparandosi quindi allo studio di altre lingue con un acquisito “senso linguistico” (linguistic feeling), facilitante ogni successivo apprendimento.

2. Ricchezza formale dell’Esperanto

È Claude Piron (1987), scrittore e professore di psicologia all’Università di Ginevra, a mettere l’accento su alcuni tratti psicolinguistici caratterizzanti “le génie”, lo spirito di questa lingua. Si tratta di altri pregi, che da una parte ne facilitano l’apprendimento, dall’altra la rendono idonea anche ad assumere valori estetico-letterari, contro qualsiasi parvenza di meccanicismo e rigidità.

Come ogni lingua, l’Esperanto ha una sua fisionomia e un suo spirito propri. La sua differente impostazione o “andatura” si può scoprire nel seguente confronto con l’inglese e il francese:

Here is my bicycle Jen mia biciklo Voici mon vélo

Bicycle trip Bicikla irado Sortie à vélo

He wants to bicycle Li volas bicikli Il veut aller à vélo

L’inglese usa tre volte lo stesso vocabolo, ma con funzioni grammaticali diverse. L’Esperanto modula il monema bicikl- aggiungendovi una desinenza che ne determina la funzione: sostantivo (o), aggettivo (a), verbo-infinito (i). Quanto al francese, se la sbriga facendo uso di un sostantivo nei tre casi, facendolo precedere, se necessario, da una preposizione e, nell’ultimo caso, aggiungendovi un verbo di senso generale.

Il carattere proprio dell’Esperanto è collegato essenzialmente a quattro tratti: la invariabilità assoluta dei monemi suscettibili di associarsi all’infinito; possibilità di assegnare a ogni lessema qualunque funzione grammaticale mediante una marca precisa; facoltà di generalizzare ogni struttura linguistica; libertà di costruzione.

Come sottolinea Piron,

“Pour l’écrivain, ces traits sont une bénédiction, car ils multiplient dans une mesure appréciable les possibilités de variation”.

Colui che desidera utilizzare la lingua a fini estetici o artistici è affascinato da un materiale che può modellare a suo talento senza mai disturbare la comprensione. In particolare, anzitutto l’aspetto musicale dell’espressione.

Due elementi costituiscono la musicalità della parola: le sonorità e il ritmo.

a) Le sonorità. Lo scrittore in Esperanto sceglie le desinenze che gli sembrano meglio adatte all’atmosfera che vuole rendere. In piedirado al la urbo en la mezo de l’ somero (“una lunga passeggiata a piedi fino alla città nel mezzo dell’estate”), la ripetizione degli -o nei medesimi punti dà un ritmo regolare (vv-v/vv-v/vvv/...) evoca una marcia monotona, faticosa, sotto un cielo di piombo. Ma se questa marcia si è svolta nella gioia e nella leggerezza, l’autore preferirà un’altra formulazione, per esempio: somermeza marþo urben.

b) Il ritmo - Il ritmo è largamente determinato, in Esperanto, dall’accento tonico, inva-riabilmente collocato sulla penultima sillaba della parola. Siccome l’ordine delle parole è una caratteristica dello stile o del moto affettivo e non di vincolo grammaticale, le possibilità di variazione permettono una grande libertà ritmica. Si può dire su un ritmo “trocaico” mi taksie alhotelos (-v/-v-v/-v), o su un ritmo “anfibraco” mi iros taksie hotelen (v-v/v-v/v-v), o ancora su un ritmo “giambico” hotelen mi taksios. Tale flessibilità dell’Esperanto ne fa una lingua particolarmente adatta al genere della “canzone” o alla poesia. Ma non meno alla prosa, in quanto la scelta di una diversa ritmazione delle frasi permette di porre accenti espressivi diversi in dipendenza della intenzione del parlante/scrivente. La libertà gramaticale è massima; la combinatorietà degli accenti è quasi infinita, come nelle due frasi sinonime: ili vin helpos o ili helpos al vi.

Ma non è meno evidente il potere “evocativo”. Nel tradurre la frase italiana “Egli canta bene”, si opterà per li kantas bone oppure per li kantas bele secondo che la parola “bene” evoca più la correttezza del canto o la sua bellezza. Gli esempi recati da Piron sono numerosi e significativi, ma limitiamoci ad un ultimo caso: l’effetto del monema -um-, che serve a formare parole le cui connotazioni non sembrano avere d’equivalente in altre lingue. Ad esempio, dire ai propri colleghi “venite kafumi?”, si intende dire altra cosa dal semplice “bere un caffè” (che si traduce con trinki kafon, kaftrinki o kafi): kafumi evoca un clima più familiare, più rilassante, più caldo. E amikumi è impossibile renderlo in italiano o in francese in tutta la sua sensazione di serenità: traduzioni come, “passare il tempo con gli amici”, “vivere una relazione di amicizia”, ecc. sono tutte troppo precise e troppo materiali per esprimere ciò che essenzialmente è un ambiente affettivo.

E di monemi, come -um-, brevi e semplici, che moltiplicano le possibilità di espressione, ce ne sono altri, come -em-, che indica la tendenza, il fatto di essere spinto a...; come -ul-, che indica la persona che... Così, foteme = “con il forte desiderio di prendere una foto”, diventa fotemulo = “colui che ha il desiderio di prendere una foto”, e similmente belfrazulo = “colui che usava delle belle frasi”. Parimenti, la forza derivante dalla combinazione di monemi è unica. Alcuni esempi prodotti da Piron: rigardate, li balbutis (scoprendosi osservato, balbettò); la sekvato (colui che egli stava seguendo); la skribota noto (la nota che intendeva scrivere); se la minacinto revenos (se colui che ha proferito minacce ritorna)... Tale combinazione di monemi permette di utilizzare formule concise per esprimere un concetto che, in un’altra lingua, parrebbe troppo complesso. Nel numero di luglio 1984 della rivista Espero Katolika (pp. 117-125) un articolo ritorna continuamente sulla parola diregna: “che appartiene al Regno di Dio” (di-, “Dio”; regn-, “regno”; -a, funzione aggettivale o partitiva). Ma, nel testo, tale parola non è che il punto di partenza di una vasta rete di derivati:

diregnulo qualcuno che agisce secondo l’ordine del Regno di Dio

kundiregnule partecipando insieme all’azione in favore del Regno di Dio

diregneco il fatto di essere diregna, cioè di appartenere a ciò che va nel senso del R. di D.

Ancora una volta è evidente la straordinaria ricchezza combinatoria della morfologia dell’Esperanto

Piron afferma, in conclusione, che l’Esperanto traduce direttamente e letteralmente il pensiero del parlante, rivestendo così immediatamente la stessa “struttura profonda” del linguaggio, quella struttura che costituisce la sostanza semantica dell’espressione, mentre le lingue storico-naturali si muovono su una struttura di superficie varia e piena di ambiguità. Dunque: chiarezza, efficacia, verità.

3. Aspetti glottodidattici dell’Esperanto

Lo studio di sintesi di Dan Maxwell ricorda come la pretesa degli esperantisti, che proclamano la loro lingua più facile ad imparare delle lingue naturali, raramente è stata sottoposta a verifica empirica; d’altro canto, le poche verifiche condotte fino ad ora non sono molto conosciute al di fuori della comunità esperantista. Pertanto, lo scopo del suo articolo sta nel voler analizzare criticamente alcuni esperimenti condotti negli anni ’70. Gli esperimenti suffragano l’affermazione degli esperantisti, anche se si possono fare obiezioni al fatto che non è possibile tener conto di tutti gli svariati fattori implicati nel processo di apprendimento linguistico. “These experiments - conferma l’Autore (p. 51) - are nevertheless valuable as an attempt to measure some of these variables in a very precise way”.

Quale efficacia mostra l’insegnamento dell’Esperanto? Gli esperimenti non mancano.

Fisher (1921) descrive un esperimento comprendente tre gruppi di allievi (A, B e C) in età dagli 11 ai 14 anni. Il Gruppo A dedicò un anno allo studio dell’Esperanto seguito da quattro anni di francese. Il gruppo B, consistente di allievi meno dotati di quelli del Gruppo A, dedicò cinque anni allo studio del francese. Il Gruppo C, con allievi dotati allo stesso grado del Gruppo A, che entrarono a scuola un anno dopo che gli altri avevano dedicato cinque anni al francese. Il Gruppo A ebbe i migliori risultati in francese, ma non è chiaro se ciò fosse l’effetto del loro addestramento iniziale in Esperanto o perché erano più dotati del Gruppo B ed ebbero più tempo per adattarsi all’ambiente della scuola privata che il Gruppo C.

Halloran (1952) descrive un esperimento coinvolgente quattro gruppi di allievi di Sheffield, Inghilterra. In due gruppi (A e D), l’Esperanto fu insegnato per un anno e il francese per tre anni. Gli altri gruppi (B e C) studiarono il francese per quattro anni senza essere esposti all’Esperanto Gli allievi dei Gruppi A e B erano più dotati di quelli di C e D. Secondo i risultati dei test somministrati alla fine dell’esperimento, il rendimento generale dei due gruppi di francese fu press’a poco lo stesso, ma vi furono notevoli differenze tra i vari sottogruppi e nell’acquisizione di abilità specifiche. Gli allievi più dotati impararono meglio il francese se dedicarono tutti i quattro anni al suo studio; gli allievi più lenti ebbero risultati migliori se dedicarono il primo anno a studiare l’Esperanto Gli allievi del gruppo con il solo francese risultarono migliori nelle abilità legate all’uso attivo della lingua, mentre gli allievi esposti all’Esperanto ebbero migliori risultati nelle abilità legate all’uso passivo. Il fatto che il gruppo con precedente esposizione all’Esperanto sia stato in generale capace di imparare circa la stessa quantità di francese in più breve tempo, indica che l’addestramento in una lingua come l’Esperanto rende più facile agli allievi orientarsi in una nuova lingua. Le conoscenze generali acquisite attraverso una esposizione all’Esperanto sono relativamente facili a raggiungersi, poiché gli elementi essenziali non sono oscurati da una disorientante varietà di ridondanze formali.

Un gruppo di pedo-cibernetici diretto dal prof. Helmar Frank di Paderborn condusse un simile esperimento alla fine del ’70 (Frank, 1978, 1984). Questa volta gli studenti erano tedeschi, e la lingua da apprendere con l’aiuto dell’Esperanto era l’inglese. I risultati furono ancor più favorevoli all’Esperanto che nei precedenti esperimenti. Il gruppo esposto all’Esperanto incominciò a studiare inglese due anni dopo il gruppo di controllo, ma cominciò ad avere migliori risultati del gruppo di controllo solo dopo due anni di inglese, e la divaricazione tra i due gruppi continuò a dilatarsi fino al termine dell’esperimento. Frank e i suoi collaboratori usano una combinazione di psicologia informazionale, modelli statistici e calcolo integrale per analizzare i risultati di questo esperimento.

Un simile esperimento con allievi giapponesi che imparano l’inglese è descritto da Fukuda (1980). Benché gli allievi giapponesi abbiano una base alquanto diversa per l’apprendimento sia dell’inglese che dell’Esperanto, i risultati dell’esperimento furono simili a quelli descritti da Frank. Frank stesso (1983) fa riferimento a esperimenti similari condotti in Finlandia e negli Stati Uniti, in cui le lingue di studio erano rispettivamente il tedesco e il francese.

Particolarmente interessanti e istruttivi sono stati i due progetti, chiamati da Maxwell “The First Five-Country Experiment” e “The Second Five-Country Experiment”. Questi due progetti miravano, a differenza dei precedenti, a verificare l’assunto che l’Esperanto è più facile ad imparare delle lingue naturali come l’inglese.

Il primo esperimento dei Cinque Paesi.

L’esperimento, diretto dall’ungherese Szerdahelyi (1975), ebbe luogo nel 1971-1972 con la collaborazione di insegnanti, dirigenti scolastici e allievi in Bulgaria, Ungheria, Italia, Jugoslavia (due regioni: Serbia e Slovenia). Vi parteciparono un totale di 36 gruppi di allievi di età tra i 9 e i 16 anni. 22 di questi gruppi studiarono l’Esperanto; gli altri le seguenti lingue indo-europee: inglese, tedesco, italiano, russo. Le condizioni didattiche, purtroppo, non furono uniformi: il numero delle ore di lezione variava da 52 a 100; il numero dei partecipanti da 8 a 36. Impossibile quindi controllare tutte le variabili.

Siccome, come già accennato, le condizioni di apprendimento variavano da gruppo a gruppo, Szerdahelyi decise di valutare i risultati mediante una formula matematica che includeva tutti i fattori che apparivano importanti e insieme erano stati misurati con qualche precisione. Da questa formula ottenne un coefficiente di successo (CS), dove Q è il numero delle soluzioni esatte, Y l’età degli studenti, X il numero delle ore di istruzione e W la percentuale delle soluzioni errate.

Ma rimangono parecchi punti privi di informazione: il tempo dedicato alle prove, le risposte scritte o orali, il numero esatto dei soggetti partecipanti, ecc. In breve, tuttavia, i dati più affidabili si possono considerare i seguenti. Un più alto coefficiente di successo implica ovviamente un maggiore profitto nell’apprendimento. L’abilità di ragionamento astratto e di comprensione della struttura grammaticale di una lingua straniera aumenta tra i 9 e 16 anni di età, probabilmente tra i 12 e i 14 anni. I due fattori, X o W, (numero di ore di insegnamento: media delle risposte errate) influiscono sul risultato nella stessa direzione dell’età degli allievi: un apprendimento in meno tempo è certamente più significativo che in più tempo.

Il secondo esperimento dei Cinque Paesi.

La descrizione ne è data da Sonnabend (1979). Ebbe luogo durante gli anni scolastici 1975-1977 e incluse classi di allievi del Belgio, della Francia, della Germania Federale, della Grecia e dell’Olanda.

Più dettagliata è l’esposizione dei vari fattori intervenienti, con abbondante documentazione. Tuttavia, non esistevano gruppi di controllo, per cui è difficile valutare i risultati rispetto all'affermazione che l’Esperanto sia più facile ad apprendere delle lingue naturali. In un test, tuttavia, vi era un gruppo di controllo consistente in due classi (7a e 8a) di allievi tedeschi che studiavano l’inglese. Questi erano maggiori di tre-quattro anni di età rispetto a quelli che studiavano l’Esperanto Il test fu dato agli allievi del gruppo sperimentale dopo 100 ore di Esperanto (due anni), e al gruppo di controllo dopo tre o quattro anni di inglese. Si trattava di una traduzione dalla lingua studiata. Nel dare i risultati Sonnabend afferma che gli allievi del gruppo sperimentale tradussero l’80% delle frasi in maniera corretta, mentre i gruppi di controllo soltanto il 57% (7a classe) e il 76% (8a classe). Gli studenti di Esperanto furono in grado di apprendere più in due anni che gli altri l’inglese in tre o quattro anni. Tuttavia, il punto debole del test sta nel non dare alcuna informazione circa l’abilità di parlare queste lingue. Un test puramente di traduzione scritta è una prova assai debole di competenza linguistica.

Questi esperimenti, quindi, lasciano aperti parecchi dubbi. La conclusione di Maxwell è prudente:

“It would undoubtedly be premature to start expensive new programs on the assumption that the esperantists’ claim about the relative ease of learning is correct. It is nevertheless my tentative conclusion the this claim is correct, because the evidence of these tests quite strongly and consistently suggests this”. (p. 59)

La conclusione è dunque un invito a proseguire le verifiche, con crescente accuratezza e tenendo presenti i maggiori fattori intervenienti.

Che è anche la nostra conclusione. Ci sono indizi che l’Esperanto presenti punti di forza dal punto di vista psicopedagogico. Ci sono egualmente ragioni indubbie del suo valore culturale, politico, scientifico, oltre che letterario. Le impressioni devono tuttavia tradursi in prove oggettive, inconfutabili. E pertanto la ricerca deve continuare.