Edward Sapir

 

Non é raro sentir dire da coloro che si trovano alquanto al di fuori del problema di una lingua internazionale, che un sistema regolare come l'esperanto é teoricamente desiderabile, ma che é inutile adoperarsi tanto a suo favore poiché l'inglese é già di fatto la lingua internazionale dei tempi moderni- se non proprio al momento, almeno nell'immediato futuro - e che l'inglese é abbastanza semplice e regolare da soddisfare tutte le necessità pratiche, e che la sua forma precisa come lingua internazionale può essere tranquillamente affidata a fattori storici e psicologici dei quali non c'é bisogno di preoccuparsi in anticipo.

Questa opinione sembra contenere a prima vista una soddisfacente dose di plausibilità, ma, come tante cose che sembrano plausibili e facili, può tuttavia nascondere parecchi insidiosi errori.

Vi sono due considerazioni, spesso mescolate nella pratica, che stimolano l'idea di una lingua internazionale. La prima é il problema puramente pratico di venire incontro al crescente bisogno di comunicazione internazionale nel senso più elementare.

Perché, ad esempio, non lanciare l'inglese, che é già parlato su un area più vasta che non qualsiasi altra lingua dei tempi moderni, e che mostra ogni segno di volersi espandere nel mondo del commercio e del turismo?

La considerazione che fa nascere riflessioni di questa sorta, basata com'é sull'impazienza, non cerca altra soluzione che una specie di lingua minima, una "lingua franca" del mondo moderno.

Coloro che discutono con questo spirito, si pregiano invariabilmente di essere "pratici", e come tutta la gente "pratica" sono inclini a fare i conti senza l'oste.

L'apparente semplicità dell'inglese la si paga con una sconcertante oscurità. Si può perfino sospettare che la padronanza della lingua inglese sia, a lungo andare, molto più difficile dell'applicazione di un numero anche elevato di regole per la formazione delle parole,quando queste regole non siano ambigue.

Chi parla l'inglese come lingua materna dissimula ai propri occhi la difficoltà, parlando in modo vago di idiotismi. La verità e che, dietro ai capricci dell'uso idiomatico, si trovano rapporti logici perfettamente definiti, i quali, nella forma esteriore dell'inglese, non sono messi in chiara evidenza. La semplicità dell'inglese nel suo aspetto formale é quindi, in realtà, una pseudo semplicità ovvero una complessità mascherata.

Tutte le lingue nazionali sono come dei colossali sistemi di interessi costituiti che ottusamente e ostinatamente rifiutano ogni esame critico. Potranno scandalizzarsi i tradizionalisti, se verrà detto loro che si sta rapidamente raggiungendo il punto in cui le nostre lingue nazionali saranno più di impedimento che di aiuto ad un chiaro pensare; e quanto sia vero ciò, é reso evidente dalla significativa necessità, in cui si sono trovate la logica matematica e la logica simbolica, di sviluppare dei propri sistemi simbolici.

Anche se si supponga che l'inglese sia destinato a diffondersi come lingua ausiliaria in tutto il mondo, non ne conseguirà affatto che il problema della lingua internazionale sia liquidato. L'inglese, o una sua versione semplificata, potrebbe diffondersi per

certi immediati propositi pratici, e tuttavia le necessità più profonde del mondo moderno potrebbero rimanere inappagate, e noi potremmo ancora trovarci di fronte ad un conflitto fra un inglese che ha vinto un troppo facile trionfo e una lingua costruita che possiede tali ovvi vantaggi di struttura da poter gradualmente spodestare la sua rivale nazionale.

Una lingua internazionale ausiliaria dovrebbe servire come base generale per ogni tipo di comprensione internazionale, e cioè naturalmente, in ultima analisi, per ogni tipo di espressione dello spirito umano che non sia soltanto di interesse locale, e che quindi possa essere riesposto in modo da includere ogni e qualsiasi interesse umano. Ma ciò non è ancora tutto. La mente moderna tende ad essere sempre più critica ed analitica nello spirito, quindi essa deve escogitare, per se stessa, uno strumento di espressione che sia sostenibile logicamente in ogni suo punto e che corrisponda allo spirito rigoroso della scienza moderna.

Ciò di cui abbiamo principalmente bisogno é una lingua che sia la più semplice, la più regolare, la più logica, la più ricca e la più creativa di tutte le lingue possibili; una lingua che, in partenza, chieda soltanto il minimo dalla capacità di apprendimento dell'individuo normale e che adempia ad un massimo di funzioni; che possa servire come una sorta di pietra di paragone logica per tutte le lingue nazionali e che diventi lo strumento regolare della traduzione. Un ulteriore vantaggio psicologico di una lingua costruita è stato spesso ricordato da coloro che hanno avuto a che fare con lingue come l'esperanto. Il vantaggio è quello della rimozione del timore nell'usare pubblicamente una lingua diversa dalla materna. L'uso del genere sbagliato in francese o qualsiasi piccola violenza fatta ai modi di dire inglesi sono riguardati come infrazioni all'etichetta, e tutti sanno che effetto paralizzante abbia sulla libertà di espressione la paura di commettere la seppure minima "gaffe".

Chi si esprime in una lingua costruita non si trova di fronte a timori come questi. Gli errori che si fanno in esperanto non sono peccati o infrazioni; sono semplici banalità, nei limiti in cui non travisano ciò che in realtà vuol dire colui che parla, e come banalità possono essere ignorati.

Nessuna soluzione del problema di una lingua internazionale dovrebbe essere considerata qualcosa di più di un semplice preludio alla graduale evoluzione, alla luce dell'esperienza ed ad opera di tutta l'umanità civilizzata, di una lingua internazionale che sia ricca quanto qualsiasi altra lingua a noi conosciuta, che sia molto più creativa nelle sue potenzialità, e che sia anche molto più semplice, molto più regolare e molto più logica di ciascuna delle lingue nazionali.

Condensato dall'articolo "La funzione di una lingua internazionale ausiliaria" da Cultura, linguaggio e personalità - Einaudi, 1972, e scritto nel 1931 per la rivista