Le guerre che avevano funestado buona parte del secolo scorso avevano sconvolto anche il popolo esperantista, ed avevano lasciato tracce nella sua letteratura. Abbiamo qui passato in rivista le opere più significative di narrativa: Kiel akvo de l’ rivero, di R. Schwartz, si era soffermato sulle vicissitudini dei territori di confine fra Francia e Germania a cavallo della prima guerra mondiale, scivolando anche sulle vicende sentimentali di giovani, divisi dai confini nazionali; J. Baghy in in Viktimoj e Sur sanga tero aveva trasferito i suoi ricordi di prigioniero di guerra in Siberia: T. Soros in Modernaj Robinsonoj (tradotto in italiano col titolo Robinson in Siberia) aveva raccontato in prima persona il suo avventuroso ritorno da un campo di prigionia, e in Maskerado ĉirkaŭ la morto), tradotto in italiano col titolo Ballo in maschera a Budapest) la sua esperienza in uno dei periodi più cupi, la dominazione tedesca in Ungheria alla fine della prima guerra mondiale. Il pubblico si aspettava un romanzo meno episodico e più profondo, e accolse con favore l’opera di J. Francis, uscita nel 1974, ma scritta alla fine degli anni ’60, quando i ricordi erano più freschi. Il titolo è La granda kaldrono (Il gran calderone: così l’autore definisce la guerra,che raccoglie e consuma uomini e sentimenti, e la osserva soprattutto dal punto di vista del popolo scozzese  travolto da impulsi diversi (da una falsa sicurezza di invulnerabilità all’impulso patriottico di fare il volontario, ma scegliendo l’arma più prestigiosa o con la divisa più bella, ai disagi nella vita civile). Il personaggio principale è una figura storica, un uomo politico scozzese , antimilitarista anche durante la guerra. A lui si affiancano due famiglie, pure scozzesi, i cui figli partecipano agli eventi bellici. La struttura narrativa è originale: i giovani protagonisti sono di  due generazioni diverse, e la narrazione trascina il lettore da da una guerra all’altra quasi senza che se ne renda conto. Gli eventi militari sono diversi, ma l’angoscia che li accompagna li accomuna.
E a questo punto voglio citare un’ altra testimonianza: Londonanidoj, Piccoli londinesi.  Autobiografico, parla di un gruppo di ragazzi sfollati da Londra per sfuggire ai bombardamenti. Il libro è vivace, la lingua è matura: l’autore, D. W. Munns, faceva la scuola elementare e aveva appreso l’esperanto in un anno. Si tratta del primo ragazzo che abbia scritto in esperanto. Una promessa? purtroppo no. Morì improvvisamente  a 15 anni, nel 1945, e il libro è stato pubblicato postumo nel ‘46. Ne lascio il ricordo con commozione.