CT. 29107l13 - Avv. Basilica

ECC.MO CONSIGLIO DI STATO

(IN SEDE GIURISDIZIONALE)

RICORSO IN APPELLO

per

il MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA (C.F. 80185250588), in persona del Ministro pro tempore, POLITECNICO DI MILANO (C.F. 80057930150) in persona del Rettore pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato (C.F. 80224030587 - FAX 0696514000 - PEC: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.), presso la cui sede domiciliano ex lege, in Roma, via dei Portoghesi, 12;

-Appellanti-

Contro

[omissis]

- Appellati‑

PER L’ANNULLAMENTO

PREVIA SOSPENSIONE INTERINALE DELL’EFFICACIA

della sentenza n. 1348/2013 resa dal TAR Lombardia - Sez. III, del 23.05.2013 sul ricorso n. 1998/2012.

 

PREMESSA IN FATTO

La Dott.ssa Angelotti Adriana e gli altri professori indicati in epigrafe, tutti docenti a vario titolo presso ilPolitecnico di Milano, hanno impugnato la delibera adottata dal Senato Accademico il 21.05.2013 laddove, confermando quanto già stabilito in alcune precedenti determinazioni (id est delibera del 20.12.2011 e del 23.01.201 approvate dal Senato Accademico e dei 20.12.2011 e del 31.01.2013 approvate dal Consiglio di Amministrazione), rendeva obbligatorio l’insegnamento in lingua inglese nei Corsi di Laurea Magistrale e di Dottorato di Ricerca a partire dall’a.a. 2014/2015, in attuazione dell’obiettivo di internazionalizzazione degli Atenei previsto nell’art. 2, comma 2, lett. 1) della Legge 2010, n. 240.

Sul punto, gli odierni appellati ne hanno sostenuto l’illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere, in quanto in contrasto con il principio di libertà di insegnamento posto dall’art. 33 Cost. e, più in particolare, del pluralismo dell’offerta formativa, con conseguente pregiudizio delle carriere del personale docente e degli studenti.

Lamentavano, altresì, il contrasto delle Linee guida oggetto di approvazione con l’art. 271 del R.D. 1933, n. 1592 nella parte in cui individua la lingua italiana quale lingua ufficiale dell’insegnamento nell’ambito degli stabilimenti universitari, nonché con l’art 2. Comma 2, della L. n. 240/2010 che mira a promuovere l’integrazione delle culture e non già ad imporre l’uso esclusivo di un’unica lingua straniera.

Sorprendentemente, il Tar Lombardia - trascurando, peraltro, la palese tardività delle contestazioni degli odierni appellati - ha accolto il ricorso e per l’effetto, annullato i provvedimenti impugnati, sostenendo, a riguardo che `l’obiettivo dell’internazionalizzazione non significa piegare gli insegnamenti e la cultura scientifica praticati in una Università pubblica italiana in favore di una particolare lingua straniera, ma significa attivare strumenti che consentano agli studenti stranieri di sperimentare e conoscere la didattica italiana e agli studenti italiani di arricchire le proprie conoscenze con quelle che in ciascuna materia sono sviluppate in paesi stranieri.

In particolare, secondo il Tribunale “le scelte compiute dal Senato accademico con le delibere impugnate si rivelano sproporzionate, sia perché non favoriscono l’internazionalizzazione dell’Ateneo, ma ne indirizzano la didattica verso una particolare lingua e verso i valori culturali di cui quella lingua è portatrice, sia perché comprimono in modo non necessario le libertà, costituzionalmente riconosciute, di cui sono portatori tanto i docenti, quanto gli studenti”. Avverso siffatta decisione, del tutto ingiusta ed erronea, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e il Politecnico di Milano propongono ricorso in appello in­nanzi a codesto Ecc.mo Consiglio di Stato per i seguenti motivi di

 

DIRITTO

 1. INAMMISSIBILITA’ DEL RICORSO PER TARDIVITA’. DIFETTO DI  INTERESSE AD AGIRE.

Con un primo ordine di motivazioni, il Tar Umbria ha ritenuto infondata l’eccezione d’inammissibilità del ricorso, in quanto tardivo, sostenendo” che la deliberazione del 21 maggio 2012, pur approvando la mozione sull’adozione della lingua inglese per i corsi di laurea magistrale e di dottorato di ricerca, cosi confermando in parte qua le linee strategiche 2012 - 2014 già approvate dal Senato accademico, si pone all’esito di imo specifico procedimento di riesame, attivato in forza di specifici atti di impulso espressivi di interessi differenti, che il Senato accademico ha valutato per giungere a confermare l’adozione e­sclusiva della lingua inglese” sicché, “lungi dall’integrare un atto meramente confermativo delle linee strategiche, costituisce una conferma in senso proprio, che, per la parte trattata, assorbe e sostituisce le linee strategiche già approvate”.

Pertanto, “trattandosi di una conferma propria, la deliberazione è autonomamente impugnabile, entro gli ordinari termini di decadenza, con conseguente infondatezza dell’eccezione in esame”.

Tale argomentazione non può essere condivisa.

Invero, l’art. 15, comma 5, del R.G.A. stabilisce che “prima della seduta del senato accademico, può essere richiesto l’inserimento all’ordine del giorno di alcuni specifici argomenti da parte di almeno il dieci per cento dei docenti o del personale interessato. A tal fine la richiesta va indirizzata al Rettore, anche in via telematica, e deve contenere la certificazione della validità delle firme dei soggetti elencati in numero almeno pari alle percentuali anzidette. Il Rettore, qualora ritenga valida la richiesta, invita il proponente, se non già membro del Senato, ad illustrarla alla prima seduta utile.

All’evidenza, la circostanza che, nel caso di specie sia, di fatto, avvenuta tale illustrazione e taluni successivi chiarimenti - imposti dal succitato regolamento - non vale in alcun modo a dimostrare che l’amministrazione abbia compiuto un riesame dell’affare procedendo, ad esempio, ad nuova istruttoria o esternando una nuova e diversa motivazione.

Sul punto, giova richiamare che, per consolidata giurisprudenza “atto meramente confermativo è quello che, senza aggiungere nulla di nuovo, ripete un precedente provvedimento, i due atti essendo caratterizzati da identità di soggetti, di competenza, di forma, di contenuto (ex multis: T.A.R. Lazio, latina, 21.3.1997, n. 230); ovviamente il quid novi che esclude il carattere confermativo dell’atto deve esserci realmente, non bastando che l’atto contenta una considerazione aggiunta o un chiarimento accessorio (Consiglio di Stato, Sez. IV, 3.11.1965, n. 676 e TA.R. Calabria, 16.12.1976, n. 376).

Orbene, contrariamente a quanto affermato da Tar, alla luce dello svolgimento e dei verbali della seduta de quo emerge che, a seguito dell’illustrazione dei motivi di appello, l’Amministrazione si sia limitata a chiarire le ragioni delle scelte in precedenza effettuate.

Parimente, è del tutto inconferente quanto statuito dal Tar laddove osserva che “la deliberazione sia stata assunta all’esito di un’ampia discussione, consistita nell’illustrazione dell’atto di appello e dei contenuti della mozione, nonché in un’articolata discussione, in cui sono stati prospettati interessi antagonisti rispetto all’obbligatorietà dell’uso della lingua inglese, correlati agli obiettivi didattici perseguiti, ai contenuti degli insegnamenti, allo status giuridico dei docenti e alla necessita di evitare misure che possano comportare trattamenti discriminatori tra gli studenti”.

Invero, la legittima partecipazione dei docenti alla volontà di un organo dell’Ateneo non implica, di per sé, alcun automatismo in relazione alla volontà di deliberare nuovamente su quanto già deciso in precedenza, sicché le argomentazioni del Tar fanno un uso distorto e contraddittorio dell’istituto della partecipazione, vanificando in tal modo il principio della decadenza nel sistema processuale amministrativo.

Dai verbali, del resto, non risulta alcuna rinnovazione o integrazione dell’istruttoria, né del resto era stata prevista all’ordine del giorno della seduta la possibilità di modificare la decisione già assunta nel mese di dicembre.

Ciò è dunque coerente con quanto affermato, sul punto, dalla giurisprudenza - seppur erroneamente richiamata dal Tar ai fini dell’annullamento della delibera - secondo la quale affinché un atto amministrativo, sopraggiunto in un secondo momento, possa essere qualificato come meramente confermativo di uno in precedenza adottato, è necessario che l’amministrazione non abbia compiuto un riesame dell’affare, procedendo ad esempio a nuova istruttoria o esternando una nuova e diversa motivazione.

Nel caso di specie, deve quindi escludersi che la delibera impugnata avesse carattere innovativo e dotato di autonoma efficacia lesiva della sfera giuridica del suo destinatario,

“sì da rendere priva di ogni utilità la pronuncia sul ricorso proposto avverso il precedente provvedimento” (Consiglio di Stato, Sez. V, 03.10.2012, n. 5196).

Sotto un secondo profilo, il Tar ha osservato che “l’introduzione dell’insegnamento in lingua inglese comporta la necessità per i docenti di rielaborare la didattica complessiva in base alla lingua da utilizzare, sia in relazione ai testi adottati, sia rispetto alla struttura complessiva di ciascun corso, sia, infine, rispetto alla peculiare competenza linguistica richiesta all’insegnate. Si tratta di profili che incidono immediatamente sulla posizione dei ricorrenti e che discendono direttamente dall’innovazione introdotta dalle linee strategiche contestate, sicché è priva di fondamento la tesi secondo la quale la deliberazione impugnata sarebbe priva di attuale attitudine lesiva.

Anche tali argomentazioni sono prive di pregio, giacché non si comprende quale posizione giuridica risulti essere stata lesa dalle delibere di cui è controversia.

A riguardo, giova ricordare che “l’interesse ad agire in giudizio sussiste solo ove si deduca una lesione seria, attuale e diretta, della sfera giuridica dei ricorrenti, non anche

dei loro interessi o aspettative di utero fatto “(Tar Umbria, 20.04.2012, n.126) qual è, nel caso di specie, l’interesse ad uno svolgimento più agevole del Corso magi­strale e ad un corso di Dottorato di Ricerca o, in altri termini, la necessità per gli  studenti e i docenti di lino sforzo maggiore necessitato dallo studio della lingua inglese.

Trattasi, peraltro, di difficoltà che gli organi dell’Ateneo hanno avuto presenti, e per il cui superamento hanno predisposto un apposito piano di formazione sia del personale tec­nico e amministrativo, sia del personale docente per arrivare, nel 2014, a un livello di pa­dronanza della lingua adeguato.

Nel caso di specie, dunque, il Tar ha omesso valutare il nesso che lega il necessario in­teresse sostanziale e processuale del singolo alla proposizione del ricorso, con il tenore della censura dedotta, la quale risulta completamente estranea all’ambito soggettivo degli istanti, i quali non posso certo dirsi soggetti abilitati a interloquire nella disposta internazionalizzazione dell’Università.

 

2. ERRORES IN IUDICANDO E IN PROCEDENDO. TRAVISAMENTO DEI FATTI. VIOLAZIONE, FALSA APPLICAZIONE DELL’ ART. 2, COMMA 2., LETT. L) DELLA LEGGE 2010, N. 240

Nel merito, il Tar ha osservato che “è pacifico che le norme della Costituzione non contengono una diretta affermazione dell’ufficialità della lingua italiana, tuttavia tale carattere è chiaramente percepibile in via indiretta dall’art. 6 Cost. che prevede la tutela delle minoranze linguistiche rimettendone l’attuazione ad apposite norme”.

In particolare, tale ufficialità “non può tradursi in una vuota formula o in una mera dichiarazione di intenti, ma che assume valenza di principio cogente, immediatamente opera­tivo, tanto che per la valorizzazione di determinate minoranze linguistiche si è resa necessa­ria l’adozione di una specifica disciplina correlata ad un precetto costituzionale”.

Orbene, il richiamo a tali principi e, in particolare, alla Legge n. 482/1999, recante norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche, appare indubbiamente suggestivo ma, all’evidenza, del tutto destituito di fondamento, specie considerando il caso per cui è controversia.

Invero, non può non rilevarsi che la Costituzione non contiene alcuna esplicita affer­mazione del carattere ufficiale della lingua italiana, ma soltanto la considerazione dell’esigenza di tutela della minoranze linguistiche corrispondenti a comunità etniche stori­camente stanziate in alcune regioni.

A ben vedere, la stessa autorevole giurisprudenza richiamata dal Tar, relativa all’uso obbligatorio della lingua italiana nei pubblici uffici e al primato della stessa rispetto alla lingua delle minoranze, non può essere utilizzata in relazione alla previsione dell’utilizzo della lingua inglese.

Tale lingua, infatti, lungi dall’essere utilizzata da alcuna minoranza linguistica territo­rialmente individuata, è, invero, usata dall’indistinta maggioranza di coloro che, a livello so­vranazionale, operano nel campo della natura politecnica e il cui impiego è stato previsto allo scopo di conferire all’insegnamento e alla ricerca universitaria quel carattere d’internazionalità che il contesto di massima integrazione degli scambi scientifici e culturali  richiede nell’attuale fase storica.

Inoltre, il Tar trascura erroneamente che, tanto nelle Linee Strategiche 2012/2014, quanto nella mozione approvata il 21.05.2012, non è dato rinvenire alcuna marginalizzazione della lingua italiana, che resta quella utilizzata nei corsi di Laurea triennale et quindi, nella maggior parte dei corsi di studio del Politecnico.

Non si vede, quindi, come l’utilizzo dell’inglese negli ultimi anni di un percorso quin­quennale possa in quale modo scalfire il primato della lingua italiana nella formazione erogata a livello di Ateneo, e addirittura incrinare l’ufficialità della nostra lingua all’interno della Repubblica.

A riguardo, è evidente che l’attivazione da parte delle Università di corsi di studio in lingua straniera, lungi dal minacciare l’identità nazionale e l’Unità della Repubblica, si prefigge lo scopo di inserire le Università Italiane nella rete degli scambi culturali internazionali e, quindi, la diffusione all’estero del prodotto dell’ingegno italiano, anche attraverso la ricezione degli apporti provenienti dall’estero.

Ciò, invero, costituisce attuazione dei principi costituzionali in punto di tutela “del diritto alla formazione e all’elevazione professionale dei lavoratori, quali aspetti della pia generale tutela del lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni” (art. 35 commi 1 e 2  cost.) (Consiglio stato, sez. VI, 07 dicembre 2009, n. 7681)

Pertanto, anche a voler riconoscere alle argomentazioni addotte dal Tribunale un qualche fondamento in subiecta materia, esse avrebbero dovuto essere contemperate con l’indefettibile esigenza costituzionale di favorire il pieno sviluppo della persona umana  nella costruzione del sé, di corrette e significative relazioni con gli altri, e di una positiva  interazione con la realtà sociale, considerando, tra l’altro che “la conoscenza della lin­gua inglese è nn requisito che coincide, in definitiva, con la competenza linguistica  minima auspicata dalle stesse istituzioni europee per i propri cittadini nell’ambito imprenditoriale-professionale” (Tar Firenze, 19.09.2011, n. 1399).

All’evidenza, si tratta di obblighi che competono alle Università nell’esercizio dell’insieme delle funzioni che gli Stati si assumono in materia di educazione e d’insegnamento, e che si attualizzano, ad esempio, con il riconoscimento della possibilità di accedere, in condizioni di uguaglianza, alle selezioni concorsuali per l’assunzione all’impiego (art. 51 cost.). e e, quindi, anche sotto il profilo dell’avviamento professionale.

Orbene, tra gli strumenti deputati a questo scopo rientra, senz’altro, l’attivazione di corsi di studio in lingua straniera quale strumento di attuazione della libertà di insegnamento.

D’altra parte, ciò è confermato dagli obiettivi - del tutto ignorati dal Tar - avuti di mira dal legislatore nell’emanazione della Legge n. 240/2010 laddove considera “Le università quale sede primaria di libera ricerca e di libera formazione nell’ambito dei rispettivi ordinamenti e luogo di apprendimento ed elaborazione critica delle conoscenze; operano, e che combinano in modo organico ricerca e didattica, per il progresso culturale, civile ed economico della Repubblica.”

Ciò posto, secondo quanto erroneamente asserito dal Tribunale, la libertà d’insegnamento richiederebbe che il docente di un’università pubblica debba poter scegliere di insegnare in lingua italiana, non come mezzo di comunicazione, ma come strumento di specifici valori culturali.

Giova ricordare, a riguardo, che “i provvedimenti dall’amministrazione centrale relativi all’organizzazione scolastica non incidono sulla libertà d’insegnamento, che si esprime nella scelta dei metodi didattici e nella scelta dei libri di testo, salvi i progetti di sperimentazione”(Tar Lazio, sez.III, 19.04.1993, n. 553).

A conferma, codesto Ecc.mo Consiglio Stato ha infatti, ritenuto che “la libertà di insegnamento attiene esclusivamente ai contenuti dell’attività docente (...)”, sicché “l’insegnante non può, pertanto, rifiutare l’assoggettamento al predetto modello didattico, ancorché adottato dagli organi collegiali della scuola senza il suo consenso”. (Consiglio di Stato, 09.09.1992,n.635)

Inoltre, come riconosciuto a livello dottrinale e giurisprudenziale, l’art. 33 della Costituzione garantisce che la scienza possa esteriorizzarsi senza subire orientamenti e indirizzi univocamente e autoritativamente imposti.

Pertanto, ciò che la norma costituzionale intende evitare è che l’insegnamento subisca “ingerenze esterne alle sue premesse tecniche e scientifiche” (Corte Costituzionale, n. 143/1972).

E’, dunque, evidente che le argomentazioni addotte dal Tribunale delineino un’equazione non imposta dalla norma costituzionale che, se garantisce la libertà del docente di determinare i contenuti dell’insegnamento al riparo da interferenze, non esclude che l’insegnamento, proprio perché svolto all’interno di un’istituzione pubblica, debba rispettare i programmi e gli indirizzi didattici determinati, che possono ben ricomprendere anche l’individuazione della lingua di erogazione delle attività didattiche.

 

3. ECCESSO DI POTERE GIURISDIZIONALE.

Con un ultimo ordine di motivazioni, il Tar ha, inoltre, sostenuto che l’utilizzo della lingua inglese nei corsi di laurea Magistrale e di Dottorato di Ricerca non sarebbe indispensa­bile per perseguire l’obiettivo dell’internazionalizzazione dell’Università “perché l’apertura  internazionale dell’Università non si estende sino alla possibilità di sopprimere per interi corsi di laurea l’uso della lingua italiana” sicché vi sarebbe stata un’eccedenza dei mezzi utilizzati rispetto all’obiettivo perseguito.

Invero, sotto l’apparente profilo della violazione del principio di proporzionalità, il Tar ha esteso illegittimamente il proprio sindacato al merito dell’azione amministrativa, giungendo in tal modo a stabilire il grado di internazionalizzazione che reputa opportuno raggiungere, e che pretende di limitare ad alcuni insegnamenti in considerazione della materia trattata o delle origini e dello sviluppo scientifico di una certa disciplina in una determinata lingua straniera.

Si ribadisce, che l’obiettivo perseguito dal legislatore, e a cui l’Amministrazione ha dato puntuale attuazione, è quello correttamente individuato nelle delibere del Senato Accademico, ossia di assicurare una formazione che consenta ai laureati di operare in contesti professionali internazionali, nonché di attrarre l’iscrizione di studenti all’estero e l’impiego di docenti stranieri, inserendo a pieno titolo l’Ateneo nella rete degli scambi culturali e scientifici internazionali.

Non si comprende, quindi, per quale ragione l’utilizzo della lingua inglese nei corsi de quo sarebbe eccedente rispetto all’obiettivo effettivamente perseguito dall’Ateneo, che avrebbe dovuto essere individuato non in base alla valutazione di opportunità fatta propria dal Tribunale, ma bensì, in base alle specifiche motivazioni delle delibere del Senato Accademico, giacché “nel giudizio di legittimità, nel quale si fa questione d’interessi legittimi e non di diritti soggettivi, il Giudice Amministrativo valuta i vizi dell’atto,  ma non si sostituisce mai all’ Amministrazione nell’adozione delle sue determinazioni”, (Consiglio di Stato, sez. VI, 5.10.2010 n. 7282).

 

ISTANZA DI SOSPENSIONE

Il fumus boni iuris si desume dai motivi di appello.

In punto di periculum in mora, giova evidenziare l’assoluta mancanza di pericolo di danno grave e irreparabile per gli odierni appellati,  considerando non solo che una parziale ridefinizione dell’estensione di alcuni insegnamenti è un fatto del tutto fisiologico nell’ambito di percorsi formativi strutturati in modo sequenziale, ma che il finanziamento per la formazione del corpo docente è totalmente a carico della Fondazione Politecnico di Milano, sicché nessuna lesione deriverebbe agli stessi dalla scelta di allocare le risorse dell’Ateneo per i fini succitati.

Inoltre, la gran parte degli odierni appellati è, al contempo, titolare d’insegnamenti sia nella laurea triennale sia nel corso di laurea magistrale, con tutto ciò che ne consegue in ter­mini di necessario coordinamento tra metodi, programmi e modalità di verifica dell’apprendimento.

Nel bilanciamento di opposti interessi, è invece certo il danno che, dall’esecuzione della sentenza impugnata deriverebbe non solo all’Ateneo in considerazione degli esborsi e oneri finanziari sostenuti per assumere le determinazioni impugnate, ma agli stessi  studenti che non potrebbero giovarsi di un sistema universitario con adeguati standards qualitativi.

Invero, la pronuncia del TAR Lombardia vanificherebbe non solo la rilevante attività posta in essere dall’Amministrazione ma altresì gli interessi pubblici cui essa è preordinata a  tutto discapito della concentrazione delle risorse nel primario settore della qualità e del sereno e proficuo svolgimento dell’attività didattica.

 ***

Tutto ciò considerato ed esposto, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e il Politecnico di Milano, come in epigrafe rappresentati, difesi e domiciliati, ricorrono all’Ecc.mo Consiglio di Stato per sentir accogliere le seguenti

CONCLUSIONI

Voglia 1’Eccano Consiglio di Stato accogliere il presente appello e per l’effetto annullare — previa sospensione interinale dell’efficacia — la sentenza n. 1348/2013 resa dal TAR Lombardia — Sez. III, del 23.05.2013 sul ricorso n. 1998/2012.

 

Con vittoria di spese diritti e onorari di giudizio.

 

Roma, 1.07.2013

 

RELATA DI NOTIFICA

Richiesto dall’Avvocatura dello Stato, per conto del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e del Politecnico di Milano, io sottoscritto assistente UNEP, addetto all’ufficio notifiche presso la Corte d’Appello di Roma, ho notificato il suesteso ricorso in appello al Consiglio di Stato

[omissis]

  1.