DISVASTIGO

www.disvastigo.it DIS351 13/2/08

Osservazioni sul multilinguismo dell’ultimo rapporto commissionato dalla Ue al Gruppo degli intellettuali per il dialogo interculturale

Viene presentato il 15 febbraio a Bruxelles a tutti i ministri della pubblica istruzione dei Paesi della EU da Leonard Orban, commissario al multilinguismo, il Rapporto dal titolo “Una sfida salutare – Come la molteplicità delle lingue potrebbe rafforzare l’Europa”.

Un gruppo di esperti costituito su iniziativa della Commissione europea, quindi pagato anche dalle tasse dei parlanti di italiano o di danese, ha lavorato intensamente per produrre quello che in precedenza Orban aveva in mente ed aveva chiesto, e, si sa, il cliente ha sempre ragione.

Del resto l’inclusione dell’ex Direttore Generale del British Council è inspiegabile al limite del ridicolo. E’ la vecchia storia dell’oste e del suo giudizio sul vino che egli stesso vende.

Il gruppo correttamente individua i problemi e li enuncia. Ad esempio il rapporto dice: “. . . la molteplicità delle lingue impone vincoli . . . si è facilmente tentati di lasciare che s'affermi una situazione di fatto in cui una sola lingua, l'inglese, occuperebbe nei lavori delle istituzioni europee un posto preponderante. . . ”.

Quando dai principi si passa alle soluzioni la delusione non potrebbe essere maggiore. Si tratta di una serie di misure che non intendono in alcun modo cambiare la situazione di fatto di un inglese prevaricante. Il gruppo di esperti, infatti, presenta l’inglese come lingua di comunicazione internazionale in Europa e lo da’ per scontato. Anzi non crede di dover dedicare attenzione a questa cosa. Si parla inglese perché sì, e “più non dimandare”.

Di fronte a questa situazione il rapporto si dedica a parlare d’altro. In effetti, presenta delle proposte, che definire “irrealistiche” è il meno che si può fare. Da un lato si dice: “Nelle relazioni bilaterali tra i popoli dell'Unione europea l'uso delle lingue dei due popoli dovrebbe prevalere su quello di una terza lingua.”

In altre parole in Bulgaria ci dovrebbe essere un numero sufficiente di parlanti di olandese, danese e finlandese affinché i rapporti bilaterali si possano condurre in queste lingue. Allo stesso modo in Danimarca, in Italia, a Malta, ecc.

Come questo si possa raggiungere in una situazione in cui tutte le scuole europee insegnano inglese e solo inglese è lasciato all’iniziativa romantica dei singoli.

Comunque è chiaro che i nostri esperti non si curano dell’insegnamento di tutti coloro che si sono occupati di bilinguismo circa l’impossibilità di mantenere un multilinguismo stabile in presenza di una lingua di comunicazione forte. Da ultimo François Grin dell’Università di Ginevra dice chiaramente nel suo L'enseignement des langues étrangères comme politique publique (L’insegnamento delle lingue straniere come politica pubblica) redatto per il Consiglio Superiore per la Valutazione del Sistema Scolastico in Francia (Haut Conseil de l’èvaluation de l’école) ed in linea alla pagina http://cisad.adc.education.fr/hcee/documents/rapport_Grin.pdf

Non curandosi di questo il Rapporto Maalouf passa alla sua ricetta sul come produrre questi necessari interpreti di polacco in Grecia, di slovacco in Spagna, ecc.

“Perché questi contingenti di locutori possano essere formati, l'Unione europea dovrebbe farsi promotrice dell'idea di lingua personale adottiva. . . . Così come la concepiamo, la lingua personale adottiva non sarebbe per nulla una seconda lingua straniera, bensì, in qualche modo, una seconda lingua materna.”.

Qui rasentiamo la follia. Se, come abbiamo detto prima, non si è tenuto conto dell’insegnamento dei sociolinguisti, non si è nemmeno tenuto minimamente conto dell’esperienza comune prima che dell’insegnamento di coloro che si occupano di glottodidattica, insegnmento della lingua. Imparare una seconda lingua a livello di lingua madre, diciamo almeno al livello più alto, C1, del Quadro Comune Europeo di Raffronto per l’Apprendimento e l’Insegnamento Linguistico del Consiglio d’Europa, è cosa che pochi, pochissimi riescono a raggiungere in situazioni particolari (non a caso il Rapporto cita lo scrittore polacco Conrad che scriveva in inglese). Indicare questo come obiettivo per l’europeo medio è solo “menare il can per l’aia”.

Oppure si tratta solo di una risposta alle richieste di Orban, che nota in un suo diario in linea di credere che l’instaurarsi di una lingua franca (lingua ponte, la chiama) è un fenomeno sociolinguistico, non il risultato di decisioni legislative o politiche. In altre parole: lasciate che l’inglese si affermi da sé e non chiedetemi di fare qualcosa, perché la giustizia fra popoli e lingue non è affar mio.

Renato Corsetti

Psicolinguista dell’Università La Sapienza di Roma e membro del Comitato Scientifico di Allarme Lingua


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