BABELE. Alleanza tra motore di ricerca e Alliance for Linguistic Diversity per salvare 3.500 idiomi minoritari nel mondo

Nasce l'archivio on line per difendere le lingue che rischiano l'estinzione Tra queste, 14 solo in Italia

Ken Hale, professore del Massachussets Institute of Technology, disse che «perdere una lingua è come sganciare una bomba sul Louvre». L'hanno preso in parola Google e l'associazione di linguisti Alliance for Linguistic Diversity, presieduta da Daniel Kaufman. Da questo insolito matrimonio è nato il progetto Endangered Languages (lingue in pericolo), per cercare di salvare alcune delle 3.500 lingue, sulle quasi 7.000 parlate al mondo, che rischiano di scomparire. Chiunque parli o conosca una lingua in via d'estinzione può caricare scritti e registrazioni vocali sul sito www.endangeredlanguages.com. Un gruppo di esperti provvederà poi all'archivio e al continuo aggiornamento dei contenuti, accessibili a chiunque sulla rete. In un idioma è contenuta non solo l'unicità irripetibile di un approccio al mondo e alla vita, ma anche una miniera di tesori per linguisti, antropologi, zoologi e anche farmacisti e chimici: se è vero che il 75% delle medicine di derivazione vegetale deriva da rimedi presenti nella tradizione, allora perdere una lingua vuol dire anche perdere tutta la conoscenza medica accumulata in secoli di storia. L'allarme è stato lanciato perché secondo quanto dicono gli esperti solo il 10% delle lingue è al sicuro nei prossimi 100 anni. Ormai sui 7.000 idiomi dell'umanità, i primi dieci sono usati dal 50% della popolazione mondiale: nell'ordine, cinese mandarino, inglese, hindi-urdu, spagnolo, arabo (16 «varietà»), russo, bengalese, portoghese, francese e giapponese. L'italiano arriva dodicesimo, dopo il tedesco. Tra le lingue a rischio ce ne sono 14 diffuse nella nostra penisola: è il caso del cimbro (Verona, Vicenza, Trento) del mòcheno (Trento) e del gardiol (Calabria); non del napoletano, che al posto numero 77 nella classifica di Wikipedia risulta più parlato dello zulu, 78, del bulgaro, 85, e dello svedese, 90. La scomparsa delle lingue non è un fenomeno nuovo; è sempre accaduto nella storia. Oggi però i decessi sono aumentati esponenzialmente a causa della globalizzazione, che impone un numero ristretto di lingue negli scambi comunicativi. Ben che vada, alle lingue moribonde restano dei santuari, delle nicchie di sopravvivenza, a volte imprevedibili. Gli emigrati dal Centro America non insegnano più ai figli la loro vecchia lingua madre, «perché», dicono, «non ci vai da nessuna parte». Ma le ballate tradizionali, sì: così a New York si canta in garifuna.