UNA CARTA ‘A LA CARTE‘: La “Carta europea delle lingue regionali e minoritarie” è stata adottata nel 1992 dal Consiglio d’Europa, ed è entrata in vigore nel 1998, dopo le prime cinque ratifiche da parte di altrettanti Stati membri del COE. L’obiettivo di questo trattato internazionale è, ovviamente,  la protezione delle lingue locali, intese come patrimoni culturali e identitari. La condizione è quindi che si tratti di lingue “storiche”, ossia di antico insediamento in un dato territorio, e riconosciute in quanto per l’appunto lingue, e non dialetti. Che abbiano cioè una produzione culturale scritta e radicata nel tempo.

La Carta ha una particolarità: a parte un nucleo di articoli fondamentali obbligatori, ogni Stato firmatario può scegliere quali articoli e quali impegni sulla tutela delle minorità linguistiche nel proprio territorio sottoscrivere, compatibilmente con le proprie leggi nazionali. Potrà in un secondo momento firmare articoli che non aveva approvato inizialmente, e potrà includere nuove lingue nel novero di quelle che aveva deciso di sottoporre a tutela.

Per questo, sebbene ci sia una “direzione” sulle tutele linguistiche in ambito internazionale europeo, parlare di una politica unitaria europea sarebbe un’astrazione burocratica: ogni Stato ha una diversa politica linguistica, e ha sottoscritto la Carta europea solo su alcuni punti, per cui, di fatto, ogni Stato persegue una propria politica linguistica, dettata da scelte politiche e usi culturali. Per farsi quindi un’idea più precisa sulla situazione della tutela linguistica in U.E., sarà quindi utile tracciate una breve mappa della politica linguistica Stato per Stato, prendendo in esame i Paesi europei più grandi e vicini a noi: la Francia, la Spagna e la Germania. Cominciamo con l’unico che non ha ancora firmato la Carta europea delle lingue regionali o minoritarie: la Francia.

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