Nel mirino dei politici bolzanini venticinque rifugi tirolesi, considerati «fascisti». Ma il governo non è disposto a cedere. Il Cai: «Cercano rogne dove non ci sono» 


La politica è alla prova dei nomi. Mentre a Bologna nei giorni scorsi si parlava di cancellare «padre» e «madre» e sostituirli con i più generici «genitori» nel segno delle pari opportunità, al culmine del settentrione italico da decenni è guerra aperta tra i movimenti autonomisti e i partiti d’ispirazione italiana. L’oggetto del contendere? 
I nomi dei sentieri. La questione - per una terra che non si rassegna a dirsi italiana - ha attraversato due governi e potrebbe innescare addirittura uno scontro tra istituzioni, tanto che - nel tentativo di disinnescare la bomba polemica - il ministro Raffaele Fitto aveva avviato le trattative sulla toponomastica. Con il governo Letta il testimone è passato nelle mani di Graziano Delrio, che ha dovuto inventarsi diplomatico e armarsi di santa pazienza per cercare 
di arrivare a un’intesa con il plenipotenziario presidente altoatesino Luis Dumwalder, in carica fino al 27 ottobre. Da queste parti lo chiamano il «re», guadagna più di Obama e viaggia a bordo di una Mercedes blindata. 
Una commissione, appositamente istituita, ha esaminato 1.526 denominazioni, assegnando a buona parte di queste un nome tedesco e uno italiano. Un compromesso «inaccettabile» per il partito della «pasionaria» Eva Klotz, leader del movimento popolare separatista della Südtiroler Freiheit, che ha rilanciato, proponendo di cancellare i nomi italiani e il tricolore issato sui 25 rifugi tirolesi. 
Il motivo? Nomi come «Roma», «Vetta d’Italia», «Vittorio Veneto» sono ritenuti fascisti e «retaggio del colonialismo imperialista» dell’epoca del duce. La proposta è piaciuta alle destre tedesche e ai partiti indipendentisti ed è stata votata a larga maggioranza dal consiglio della provincia autonoma di Bolzano. 
Una scelta che ha rimescolato le carte dell’intesa col governo. Adesso spetta a Dumwalder trovare la via d’uscita, per concludere a testa alta il mandato. Per ora ha azzardato la via della mediazione, precisando che per i rifugi privati la decisione è libera, negli altri casi valgono gli accordi in essere. Ma quegli accordi vanno ancora chiariti e mancano le norme attuative. 
Il governo avrebbe già fatto sapere al «re» che su bandiera e nomi italiani non è disposto a cedere al compromesso. Quindi: o si abbandona la battaglia separatista sulle «case» degli alpinisti, o l’intesa sulla toponomastica è a rischio. Figurarsi: Delrio è sindaco «decaduto» (per l’incarico al dicastero) di Reggio Emilia, la città del tricolore. Per lui questa trincea «silente» rischia di trasformarsi anche in una questione personale. 
Della vicenda si starebbe occupando anche il vicepremier Angelino Alfano, deciso a non chinare il capo di fronte alle rivendicazioni di matrice teutonica. 
Da Roma al territorio il caso sta diventando nazionale. E anche nelle valli tirolesi la tensione è palpabile. All’indomani della delibera, nella disputa è intervenuto anche il Club alpino italiano che, dal 2010, non ha più la gestione dei rifugi, passati alla Provincia autonoma, che ne ha affidato le gestioni. Inutile dire che l’associazione i cartelli italiani li vuole mantenere. 
Sbotta il presidente della sezione di Bolzano Riccardo Cristofoletti: «Questi cercano rogne dove non ce ne sono». Il numero uno Cai ne fa una questione "funzionale": «Sulle cartine ci sono i doppi nomi. Se eliminiamo quelli italiani i turisti italiani rischiano di perdersi». 
«Il vessillo italiano? La sua presenza è prevista dal nostro statuto nazionale. Indica che il rifugio è aperto», spiega Cristofoletti. Ma per Klotz la questione è tutta identitaria. I nomi assegnati oggi sono infatti frutto della traduzione italiana 
del Tolomei, che a inizio ’900 ha ribattezzato - spesso in forma libera - antichi nomi tedeschi e austriaci. Per questo l’attivista germanofona accusa gli italiani di voler cancellare la storia. «I nomi non si cambiano: sono gli ultimi testimoni. Questa è "pulizia etnica", un crimine culturale di primo grado». Tra tutti ce n’è uno in particolare che Klotz non «digerisce». È quello del rifugio «Vetta d’Italia», la montagna più a Nord dello Stivale, che sfiora i 3mila metri. «Ma noi da sempre la chiamiamo Klockerkarkopf: questi rifugi sono stati fondati da tedeschi e sudtirolesi. I fascisti hanno falsificato i nomi per far credere che la nostra sia da sempre una terra italiana». Diversa la posizione dei Verdi, peri quali quella è «Vetta d’Europa». Pardon: Europagipfel. Basta intendersi.
Filippo Manvuller - Libero Quotidiano, 25/9/2013