Per molti indirizzare i propri figli all'apprendimento di una lingua diversa da quella parlata in casa significa investire sul loro futuro. Essere bilingue, però, è diverso dal parlare due lingue: fino a che età è possibile diventarlo? Quali i pro, i contro, i problemi che rendono consigliabile questa scelta? Prima regola: siate coerenti. Tre genitori raccontano
 
Bilingue è meglio? Istruzioni per genitori ambiziosi Una società multietnica come la nostra è anche multilingue. Al mondo sono state censite più di 7000 tra lingue e idiomi, per cui il multilinguismo è da considerarsi un dato di fatto. Negli ultimi decenni ha avuto grande impulso l'apprendimento precoce di più lingue. Accanto a quella nazionale del paese in cui si vive, i genitori spesso scelgono di avviare i propri bambini all'apprendimento di una seconda lingua già molto presto, nei primi anni di vita, o perché uno o entrambi i genitori sono stranieri, immigrati o espatriati, o perché semplicemente ritengono che possa costituire un arricchimento e offrire magari, un domani, migliori opportunità di lavoro. A scuola, lo studio di una lingua straniera spesso inizia fin dalla materna, prosegue in ogni corso di studi e, da alcuni anni, prosegue anche in facoltà universitarie in lingua straniera. 
 
COME FAR DIVENTARE BILINGUE I PROPRI FIGLI
Essere bilingui, però, è diverso dal parlare due lingue. Tutti possono impararne, semplicemente studiando, e l'apprendimento è direttamente proporzionale al tempo che si dedica al loro studio. Il bilinguismo, invece, è l’essere in grado di parlare utilizzando due sistemi linguistici diversi, in un certo senso intercambiabili. Quindi, se si desidera per i propri bimbi un futuro da bilingue, bisogna prepararli per tempo.
 
Tra i 3 e 7 anni l'apprendimento della lingua avviene infatti in modo intuitivo, mentre dopo i 7 anni l'apprendimento si trasforma, da intuitivo diviene deduttivo, e il bambino inizia una riflessione cosciente sulla lingua e sulla sua struttura, aiutato anche dalla scolarizzazione e dall'apprendimento della scrittura. Esiste sempre una lingua “prevalente” che di solito coincide con quella del paese in cui si vive, indipendentemente dalla lingua parlata dai genitori o in famiglia, poiché la componente sociale è determinante nell'apprendimento di qualsiasi lingua, non solo per un bisogno d’integrazione ma anche per il “tempo di esposizione” alla lingua stessa. 
 
E’ noto, infatti, che per apprendere e ricordare una seconda lingua è necessario che il tempo di esposizione sia superiore al 30% di quello che il bambino tracorre interagendo con gli altri e che l'esposizione deve essere costante durante tutto lo sviluppo (infanzia e adolescenza) altrimenti, com’è naturale, potrà essere dimenticata. Barbara Abdelilah-Bauer nel suo libro "Guida per genitori di bambini bilingui” spiega in modo semplice e diretto che la conoscenza di una sola lingua oggi sembra non bastare più a molti genitori, e sfata il vecchio mito della “lingua madre" parlando piuttosto di lingua “prevalente” (quella parlata nell'ambiente sociale) e lingua “secondaria” (quella parlata nell'ambiente familiare), entrambe cariche di affetti e di simboli e per questo ugualmente importanti sia per i bambini sia per i genitori. Ma soprattutto, sottolinea che i bambini bilingui imparano che esistono più parole (significanti) per indicare la stessa cosa (significato), che si può esprimere un concetto con più suoni e con tonalità diverse. Imparano cioè fin da piccolissimi ad avere una visione pluridimensionale della realtà, e questo li arricchisce sia da un punto di vista psicologico che sensoriale.
 
L'eggi l'articolo di Adelia Lucattini - d.repubblica.it