Quando uno strumento usato come mezzo di comunicazione, quale la lingua nazionale, diventa causa scatenante di battaglie politiche e aspre contestazioni di piazza occorre riflettere seriamente sul perché, in certe aree del pianeta, si possa arrivare a tal punto. A porre la questione tra gli argomenti di stretta attualità è l'approvazione in prima lettura presso il Parlamento ucraino di un progetto di legge che permette l'uso delle lingue parlate dalle minoranze nazionali negli uffici pubblici – soprattutto nelle scuole – di alcune regioni dell'Ucraina. Se sarà confermato dall'approvazione in seconda lettura, il provvedimento, che è stato redatto da due esponenti del Partija Rehioniv – il partito del potere a cui appartengono il Presidente, Viktor Yanukovych, il premier Mykola Azarov e quasi tutti i ministri del governo ucraino –, legalizzerà, fra l'altro, l'impiego del russo nelle 13 regioni centro-orientali del Paese, compresa la Capitale Kyiv. A "beneficiare" della proposta di legge saranno anche altre lingue minoritarie abbastanza diffuse a livello locale nelle regioni della Transcarpazia, della Bucovina e della Crimea, come l'ungherese, il romeno e il tataro.

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