L'approvazione di un testo di ratifica della Carta europea delle lingue che discrimina la lingua sarda, senza che i parlamentari sardi abbiano mosso un dito, e la revisione della spesa del governo presieduto da Mario Monti che colpisce pesantemente la minoranza linguistica sarda, sembravano le ultime novità negative per la nostra lingua. Ma da pochissimo si è aggiunta la sentenza della Corte di Cassazione che ha considerato il sardo dialetto e non lingua. Tutto ciò non ha suscitato grandissime reazioni politiche come sarebbe accaduto in altri tempi, salvo quelle puntuali del Comitadu pro sa limba sarda. La recente gravissima sentenza della Corte di Cassazione è passata nel silenzio generale: muto il ceto politico sardo e distratti gli intellettuali. Segno del fatto che la tutela e promozione del sardo è considerato un argomento sorpassato anche dai soliti avversari del sardo o grave sintomo della noncuranza della nostra classe politica e intellettuale verso l'elemento cardine della nostra identità nazionale? Probabilmente entrambi. Effettivamente non entusiasma più nessuno dire che il sardo è un dialetto, come poteva avvenire 40 anni fa, per negargli riconoscimento e tutela, anche perché la repubblica italiana, con la legge 482 già dal '99 lo ha consacrato come lingua della minoranza sarda. Lo stato, del resto, negli ultimi anni ha anche finanziato una qualche politica linguistica a favore del sardo, uffici, master, corsi di formazione, convegni, seminari, campagne di promozione, toponomastica. Ormai lo fa malvolentieri, perché i suoi finanziamenti sono ridotti a quasi nulla e la ratifica della Carta europea delle lingue minaccia di tradursi in una assai minore tutela giuridica del sardo e di altre lingue. In Sardegna c'è ormai una diffusa consapevolezza che il sardo è lingua. Purtroppo a tale coscienza non corrisponde altrettanta presenza e uso sociale del sardo, che va degradando, in mancanza di una politica linguistica globale ed effettiva. L'infelice e tardiva dichiarazione della Corte è quindi solo sintomo dello scollamento delle istituzioni, in cui una non sa che cosa ha già fatto l'altra, e della grave ignoranza in temi linguistici che prevale nella cultura italiana. La storia del sardo come dialetto dunque non attacca più, ma rischia di essere una distrazione per evitare il vero problema: che fare e con quali nuovi mezzi giuridici e finanziari assicurare ufficialità piena al sardo nella sanità, negli enti, a scuola, nell'università, nei mezzi di comunicazione? Una domanda che poniamo da anni allo stato e alla nostra classe politica, cui corrisponde una risposta sempre più elusiva, se non contraria o occasionale. La Regione risponde solo parzialmente, ma qualche intervento importante lo compie, anche grazie all'interessamento degli assessori che si avvicendano al nostro dicastero della cultura e sotto la spinta del movimento linguistico. Ma poi, che si fa per rovesciare la situazione? In sintesi, molto poco. Se avessimo una forte iniziativa linguistica unitaria, non localistica e folcloristica, se ciascuno facesse la propria parte nel rafforzare l'ufficialità del sardo in ogni forma, anche le forze contrarie nel governo e nello stato sarebbero ridimensionate o zittite. Invece, quasi nessuna iniziativa viene dalle forze "statali". Solo da pochi giorni l'Idv e la Cgil hanno sollevato il tema della lingua per protestare contro il ridimensionamento delle nostre scuole. La miriade di movimenti "indipendentisti", poi, sembra attirata più che altro dalle tematiche economiche, ambientali e sociali, tanto che ci si chiede che differenza ci sia con analoghi movimenti alternativi italiani, a parte la parossistica ripetitività della parola d'ordine "indipendèntzia". Eppure, per chiarirsi le idee, basterebbe studiare altri modelli positivi, come quello catalano. Perché anche i politici sardi non si fanno un bel viaggio, di studio? Forse potrebbero insegnarci, finalmente, che il sardo va promosso e usato come mezzo di comunicazione vivo, fondamento di coesione sociale e nazionale sarda e non difeso come un soprammobile, magari solo quando viene considerato a torto dialetto dagli avversari.