Le lingue ufficiali di Malaysia, Indonesia, Brunei e Singapore (una delle quattro) derivano dalla modernizzazione del malese e dall’opera letteraria di scrittori che hanno dato vita alle istanze espresse da scelte politiche nazionaliste (soprattutto per l’Indonesia dove Il Congresso della Gioventù nel 1928 si era espresso sostenendo che l’Indonesia è una: uno stato, una nazione e una lingua).

Il malese è una lingua che aveva diffusione da secoli nell’area come lingua di interscambio e di traffici commerciali. Le versioni moderne sono sostanzialmente il risultato delle divisioni politiche in epoca coloniale. La Malaysia sotto dominio britannico, l’Indonesia sotto quello olandese. Ciò spiega le differenze che nella grafia sono state praticamente eliminate dalle riforme concordate nel 1972 che unificano di fatto le due lingue: nell’ortografia (denaro BI uang, BM wang, medicina BI obat, BM ubat ecc. fra le poche divergenze), ricordando che il malese classico (e ancora di recente) era scritto in caratteri arabo-persiani adattati; nel lessico (differenze in imprestiti da un lato inglesi da un altro olandesi); forse in una sintassi più vicina alle lingue europee in Indonesia, tendente al malese classico in Malaysia.

Diversi anni fa nella Scuola Superiore per Interpreti e Traduttori di Forlì (Un. di Bologna) fecero una ricerca sui bisogni linguistici nell’imprenditoria romagnola. Risultò sostanzialmente che gli imprenditori non attribuivano alcuna importanza alla conoscenza delle lingue straniere, anche nei commerci internazionali. Una spia del pregiudizio o di una mancanza di interesse non neutra veniva dal fatto che di fronte comunque alla necessità di intrattenere rapporti scritti od orali l’inglese e magari il tedesco e il francese risultavano necessari, ma pressocché scontati.

Credo che la situazione sia cambiata, non ci vuole molto a capire che una trattativa di affari condotta con dei cinesi in cinese predisponga più favorevolmente l’interlocutore che una trattativa in inglese, o che possa capitare che la parte cinese parli o si serva di interpreti che conoscono l’italiano e quindi siano psicologicamente avvantaggiati.

Una lingua come l’indonesiano, con un paese ricco, politicamente stabile, dotato di materie prime (e petrolio), avido di know-how e di tecnologie, con molta mano d’opera accessibile a buon mercato, vale la pena di studiarla e di sfruttarne le possibilità di interloquire con tale vantaggio. A maggior ragione dato che si tratta, tra le lingue extreuropee, di una lingua estremamente facile.

Purtroppo non esistono molti strumenti per studiarla. In italiano esiste il mio dizionarietto malese-indonesiano della Vallardi nei due sensi e il vocabolario indonesiano-italiano di Santa Maria, pubblicto dall’ISIAO e dall’Istituto Orientale di Napoli. Ora è uscito anche in volume il mio Corso di lingua indonesiana per italiani che per oltre vent’anni ha circolato in fotocopia fra gli interessati. Corsi sono tenuti regolarmente all’Orientale di Napoli e in passato avevo fondato un corso presso la sezione milanese dell’Is.M.E.O. Il volume si puà ordinare presso l’Editore Bonomo di Bologna (www.libreriabonomo.com).

 

Giulio Soravia è docente di Lingua e letteratura araba all’Università di Bologna. Linguista di formazione, si interessa di Sudest asiatico, in particolare dell’Indonesia (dove ha compiuto molte ricerche), dell’Africa orientale (Somalia, dove ha insegnato tre semestri), della lingua e cultura dei Rom europei.