Nel 2013 il Politecnico di Milano aveva deciso che dal 2014 la maggior parte dei propri corsi di laurea, inclusi tutti i corsi della laurea trennale, sarebbero stati insegnati e valutati interamente in inglese, invece che in italiano. Il Consiglio di Stato, al quale si erano appellati i docenti, rigettò la decisione dell'Ateneo, spiegando che "le scelte compiute dal Senato accademico con le delibere impugnate si rivelano sproporzionate, sia perché non favoriscono l’internazionalizzazione dell’ateneo ma ne indirizzano la didattica verso una particolare lingua e verso i valori culturali di cui quella lingua è portatrice, sia perché comprimono in modo non necessario le libertà, costituzionalmente riconosciute, di cui sono portatori tanto i docenti, quanto gli studenti".

La scarsa padronanza delle lingue straniere rappresenta un freno alla competività delle persone attive nel mercato del lavoro. Quali possono essere i vantaggi (ed i svantaggi) di un'università in cui i corsi sono impartiti interamente in lingua straniera? Ne abbiamo parlato con lo scrittore e giornalista inglese Paul Gubbins, docente prima all'università di Salford e poi presso l'ateneo del Staffordshire.

L’ingua inglese come unica lingua dell'università aprirà agli studenti nuove possibilità. Saranno sicuramente “costretti” - come peraltro anche i loro insegnanti! – ad impadronirsi dell’inglese al punto di leggere libri e riviste tecniche acquisire un alto grado di conoscenza della lingua inglese per tenersi al corrente leggendo libri e riviste tecniche, e in seguito per dialogare attivamente con esperti del mondo scientifico anglo-americano ed eventualmente scrivere articoli tecnici. Questo vuol dire avere accesso al  mondo della ricerca anglo-americano, che è molto ampio.

Possiamo dire che si troverebbero, almeno teoricamente, in una situazione di vantaggio rispetto ai coetanei inglesi od americani che non conoscono altre lingue oltre la propria , in quanto potranno avvalersi della conoscenza di due culture, la propria, italiana, e quella appresa nel corso degli studi universitari.

Alla lunga, però questa posizione di vantaggio rischia di appannarsi. Se davvero nelle università italiane si radicherà, non sarà più percepito l’opportunità offerta dalla conoscenza di due culture, e l’italiano potrebbe man mano perdere importanza nel mondo della ricerca, e resterebbe in una posizione subalterna in un mondo monolingue..

L’esperienza ci dice che  che solo pochissime persone che cercano di passare da un ambiente monolinguistico / culturale ad un altro, ci riescono pienamente e in modo soddisfacente, e questo vale anche per laureati e per professori universitari. Io conosco scienziati di chiara fama  che si piccano di parlare in inglese di argomenti scientifici di cui sono perfettamente padroni, ma, trovandosi di fronte ad un ambiente accademico anglo-americano si possono trovare in situazioni imbarazzanti, e magari addirittura presentare diapositive con errori madornali.  E gli studenti che imparano da loro si troveranno nella stessa situazione, avendo appreso le nozioni scientifiche da insegnanti che non conoscevano perfettamente la lingua. I madrelingua inglese si accorgono che ci sono errori, ma rimangono col dubbio di non aver capito quello che il collega straniero voleva dire, e temono di essersi persi qualcosa..


Inoltre, perché insistere con l'angloamericano come unico mezzo di istruzione in tutte le facoltà universitarie? Non è ragionevole insistere sull'inglese, se si intende lavorare in Italia nel settore dei servizi sociali per esempio, con gli anziani o, con i bambini.
Poi ci sono anche discipline per cui non si sente la necessità di ricorrere all’inglese, potrei citare l’architertura e la misica, in cui la cultura italiana è  molto presente; ma non dimentichiamo la medicina, che impone un dialogo con i pazienti, e quindi un medico italiano che eserciti in Italia dimenticherà facilmente l’inglese appreso all’università.
La soluzione, quindi, è insistere sull'italiano, o in generale sulla madrelingua come lingua principale dell'istruzione.

Non c’è dubbio che a chi aspiri alla laurea o a un dottorato di ricerca sia giusto richiedere la conoscenza di lingue straniere, (l’inglese, ma non sottovalutiamo il cinese) in un'area specifica. Ma pretendere che che a tutti debba essere insegnato tutto in un probabile inglese approssimativo (e non illudiamoci: sarà così, se non saranno importati docenti di madrelingua inglese) porterebbe al manicomio.


La politica linguistica del solo inglese nelle università attirerebbe studenti stranieri negli atenei italiani?

Difficile da dire. Non credo proprio che gli anglofoni frequenterebbero un'università italiana (tranne forse per il clima) per ricevere un insegnamento in un gergo angloamericano pronunciato da professori che lo parlano come seconda lingua.. Può darsi che, se le tasse fossero abbastanza basse, verrebbero studenti d’altre nazioni, supponiamo per esempio cinesi, di cui io ho un’esperienza personale: la loro conoscenza dell’inglese è abbastanza scarsa stanno seduti in aula tenendo davanti un programma di traduzione, e non riescono a stare dietro al flusso di parole dell’insegnante. Al di fuori delle aule socializzano solo con i loro colleghi cinesi, perché non riescono a farsi capire dagli anglofoni per una conversazione normale.

Pare che la cosa non preoccupi molto le università, che si interessano soltanto delle tasse che incassano.
Posso raccontare un Aneddoto. Nella mia università, i professori di lingue controllavano le tesi degli studenti cinesi e le redigevano in un inglese perfetto. Alla fine dei corsi, gli studenti cinesi tornavano a casa con un bel diploma di laurea di un’università inglese, ma in pratica non erano in grado di spiccicare due parole.
L'università, però, incassava le tasse dovute (da cui si ripagava lo stipendio mio), e tutto andava bene così; nessuno si sognò di denunciare quella che era una frode bella e buona.

Quando si parla dell’inglese come lingua veicolare ci si fanno delle illusioni. Torniamo ancora alla mia esperienza diretta..  Alcuni anni fa mi sono trovato in una classe una classe formata francesi e tedeschi, e l’obiettivo che mi ero dato era di dar vita ad un dibattito comune. Quando mi sono accorto che questo non nasceva, ho provato a domandarne la ragione. Uno studente francese ha ammesso: non capiamo l’accento inglese dei tedeschi. E, simmetricamente, uno studente tedesco: non capiamo l’accento inglese dei francesi.
Quindi, possiamo aspettarci che studenti universitari che hanno studiato l’inglese in paesi diversi si capiranno facilmente? Oggi come oggi, sicuramente no. Le relazioni fra loro su un piano culturale saranno piuttosto scarse. Solo l’amministrazione dell’università ne vedrà un utile finanziario.


Allora, secondo Lei quali possono essere Quali possono essere le strategie più opportune perché nasca un un sistema universitario moderno che sia veramente internazionale?


L'internazionalità attualmente è un concetto interpretabile in tanti modi .Ritorniamo alla mia esperienza. Nella mia università non ci sono più facoltà di lingue straniere. Si insegna l'inglese agli stranieri perché possano vivere in un ambiente anglofono, ma delle lingue straniere che facevano parte dei curriculum tradizionali  non c'è più traccia. E questa università si vanta di essere un ateneo internazionale perché  ospita un po’ di studenti stranieri, e perché  organizza qualche viaggio di istruzione verso altri paesi anglofoni (di solito. gli USA), o in cui c’è una certa conoscenza dell’inglese; di recente ce ne è stato uno a Copenaghen, nel corso di tre giorni gli studenti sono stati intervistati in inglese,  e tutto è finito lì, senza nessun contatto con la cultura locale). È un po’ poco per definirsi internazionale.

Se si vuole puntare  al'internazionalizzare delle università uropee è una grande sfida una via potrebbe essere quella di istituire un “gemellaggio” fra cippie di università in paesi diversi: per esempio
insistere, prima, diciamo, a livello europeo che ogni università sviluppi uno stretto un'università spagnola potrebbe gemellarsi con una greca, e di conseguenza in quella spagnola si insegnerebbe obbligatoriamente il greco, e i suoi studenti dovrebbero trascorrere almeno un semestre presso l'università "gemella", e viceversa. La cosa non sarebbe così semplice come nel modello ideale: la verità è che gli spagnoli gli spagnoli vogliono studiare in una università inglese e per impararne la lingua. Ma il gemellaggio con una università britannica non sarebbe possibile, perché lo scambio diverrebbe asimmetrico: molti spagnoli nel Regno Unito; pochi inglesi in Spagna: è quello che  constatiamo da anni nel programma Erasmus.

Proviamo a fare un passo avanti su questa strada: occorrerebbe che anche gli esami di ammissione all’università, o quelli di maturità,avessero già uno statuto internazionale e i loro programmi fossero armonizzati e concordati. Il cammino sarebbe davvero lungo, e finora non se ne parla assolutamente.

 

A causa delle differenze tra i diversi sistemi nazionali, non alla leggera propongo l'Esperanto per risolvere la mancanza di internazionalità. Con o senza Esperanto, tuttavia, se una università considera che l'esame di maturità di un candidato non coerente con le esigenze dell'istituzione competente, gli studi saranno preclusi all’allievo.
 

L’ Università di Atene, Belgrado, Cambridge e così via sono istituti che collaborano a livello internazionale - solo a livello di progetti specifici.


E' necessario considerare più a fondo il problema e impostare l'Università d'Europa con filialoj in tutti i paesi UE. Si tracci un comune programma di studio (forse non in ogni facoltà, di certo all'inizio) per permettere lo scambio di insegnanti e studenti, che a sua volta consentirà agli specialisti di talento provenienti da tutti i paesi di contribuire alla formazione della gioventù europea. I critici diranno, che questa è omologazione, l'"esperantizzazione" della formazione universitaria, ma il risultato sarà che i singoli istituti saranno liberi di sviluppare i propri programmi di studio).

Chiaramente, l'Università d'Europa (che per sua stessa natura definirò il concetto di "internazionalità" si dovrà affrontare il problema linguistico Sarà probabilmente risolto, tuttavia, con un incomprensibile inglese sottolineo "forse" - perché c'è una possibilità per l'Esperanto.

Se c'è denaro, la volontà politica, la volotà di cooperare per realizzare l'Università d'Europa questo è molto dubbio.

In Galles, tuttavia, c'erano / c'è l'Università del Galles. Fino a pochi anni fa l'università consisteva di una federazione di atenei indipendenti Ora, a quanto ho capito, l'attuale Università del Galles è l'unione di collegi indipendenti. Quanto collaborano e hanno armonizzato i programmi, non lo so. Ma ecco forse il primo passo: l'attuale università in ogni paese si impegna a collaborare nell'ambito dell'Università d'Europa ad adattare di conseguenza le proprie offerte formative.

Questo, secondo me, l'unica opzione perché le università si internazionalizzino a pieno.