Risposta scritta pubblicata nel fascicolo n. 181 all'Interrogazione 4-07719 (Riduzione interpreti riunioni Consiglio d’Europa)

Risposta. - Il Governo italiano ha sempre ritenuto che il principio di non discriminazione linguistica rappresenti un elemento fondamentale per il successo del processo di integrazione europea. L'Unione rappresenta infatti un'organizzazione sovranazionale con profili del tutto peculiari di governo condiviso tra gli Stati membri. Per generare il necessario sentimento di appartenenza ai processi decisionali è pertanto fondamentale che la diversità degli idiomi sia salvaguardata nel funzionamento delle istituzioni. L'importanza del fattore linguistico è stata del resto ben presente sin dalle origini della costruzione europea. Il regolamento (CE) 1/1958 (regolarmente emendato in occasione degli allargamenti dell'Unione) indica infatti come lingue ufficiali e lingue di lavoro quelle di tutti gli Stati membri.

Il Governo, in linea con gli indirizzi espressi dal Parlamento, ha mantenuto una posizione ferma in merito alla difesa di un regime linguistico non discriminatorio per la lingua italiana nell'ambito delle istituzioni europee. Il Ministero esercita pertanto una costante sensibilizzazione nei confronti delle istituzioni e degli Stati membri dell'Unione.

Per quanto concerne le spese per i servizi di interpretariato dei gruppi di lavoro del Consiglio, le esigenze di contenimento del bilancio hanno suggerito una razionalizzazione della spesa, ma non certo di modifica della consolidata politica del Governo.

Giova ricordare che le spese per l'interpretariato dei gruppi di lavoro del Consiglio si fonda su una decisone del 2004 ("Request and pay"), favorita proprio dall'Italia, volta a porre tutte le lingue su un piano di parità e combattere invece ogni forma di "trilinguismo" (inglese, francese, tedesco) strisciante. Sulla base di questa decisione, tutti i Paesi ricevono un'analoga somma sul bilancio a carico del Consiglio ("enveloppe"), mentre ricadono sui bilanci nazionali esigenze aggiuntive di interpretariato, su richiesta dei singoli Paesi membri. Sulla base della decisione del 2004, sono comunque garantiti i servizio di interpretariato per tutte le riunioni a livello di Consiglio e per tutta una serie di riunioni previste dalla decisione del 2004 e dalla successiva integrazione del 2007. Per il 2012, l'Italia ha avuto a disposizione un'enveloppe di 1.177.500 euro a semestre.

Per il primo semestre dell'anno, si è provveduto con un'integrazione sul bilancio nazionale per 1.283.556 euro, per un totale di 2.461.056 euro per spese di interpretariato nel primo semestre 2012. Per il secondo semestre, esigenze di bilancio hanno suggerito in un primo momento di limitare il numero delle riunioni per le quali richiedere l'interpretariato pieno, ben sapendo che si trattava di una misura di carattere temporaneo e che sarebbero state adattate non appena possibile. Per contenere gli esborsi sul bilancio nazionale, si è infatti convenuto di chiedere l'interpretariato passivo per tutti i gruppi di lavoro del Consiglio, e quello attivo nei casi in cui esigenze di funzionalità del lavoro lo suggerivano. In questo modo, gli esperti italiani hanno comunque sempre potuto esprimersi in italiano, mantenendo presente e visibile la presenza della nostra lingua, ed hanno potuto usufruire dell'interpretariato pieno ogniqualvolta esigenze funzionali lo abbiano consigliato.

Successivamente, pur in una fase di stringenti riduzioni di spesa pubblica, sono state reperite le risorse necessarie a garantire l'interpretariato pieno per tutti i gruppi di lavoro del Consiglio già a partire da settembre. Si è quindi tornati alla situazione precedente. Analoghe risorse sono state previste sul bilancio 2013, in modo da continuare a garantire l'interpretariato pieno per l'anno prossimo.

DASSU' MARTA Sottosegretario di Stato per gli affari esteri