06.10.2003 Corriere della Sera

I sostenitori della lingua artificiale inventata da Zamenhof vogliono che l´Europa la adotti. Per fermare lo strapotere angloamericano

Dillo in esperanto, e chiuderai la bocca all´inglese


Protesta sciopero della fame per denunciare la congiura del silemzio



Bonan tagon. Sembra un errore di stampa. Invece vuoi dire buongiorno in esperanto, una lingua che ogni tanto torna alla ribalta come possibile idioma internazionale. Adesso sono i radicali a farsene paladini. Vorrebbero imporla come lingua ufficiale dell´Europa Unita. Giorgio Pagano, uno dei seguaci di Pannella, addirittura si è messo a digiunare 9 giorni fa con l´intento di smuovere il ministro dell´Istruzione Letizia Moratti. «Aveva promesso di convocare una conferenza europea sulle lingue durante il semestre di presidenza italia­na», spiega Pagano. E finché il ministro non si decide, lui giura di non toccare cibo.

L´esigenza di un linguaggio comune euro­peo è più che evidente. Nell´Europa a 25 si par­leranno 20 lingue nazionali, con grandi proble­mi di traduzioni, di stesura dei documenti uffi­ciali, di tensioni fra inglesi che premono per imporre la propria lingua, francesi che non ci stanno, tedeschi e italiani sicuri che anche il

loro idioma abbia la dignità necessaria.

«l´esperanto — argomenta Pagano — eli­mina questi problemi. Può diventare una lin­gua federale usata in tutti gli uffici pubblici eu­ropei. Lasciando sopravvivere le lingue nazio­nali, senza farle sopraffare dall´inglese. E' as­surdo che il modo di esprimersi di una nazione debba propagarsi a tutti gli altri europei. l´in­glese è diventato come la tessera fascista: se non ce l´hai non lavori».

l´esperanto può essere la soluzione? Sì, se­condo Fabrizio Pennacchietti, esperantista e docente di filologia semitica all´Università di Torino. «Basterebbe essere un po' meno osse­quiosi verso il potere dominante che tende a ficcare in testa a tutti il proprio linguaggio. La lingua è anche una forma di dominio».

l´idea con cui un giovane ebreo polacco, Lu­dovico Zamenhof, elaborò nel 1887 una gram­matica tutta sua era completamente diversa. Lui aveva intenzione di dare agli ebrei dispersi in Europa un idioma comune. Lo chiamò espe­ranto (colui che spera), un misto di parole neo­latine e centroeuropee. Gli ebrei preferirono il vocabolario ideato da un altro ebreo polac­co, Isacco Perelman. Ma sorprendentemente l´esperanto migrò verso altre culture. Dapprima furono i cattolici a tenere all´inizio del '900 un convegno per discutere la possibilità di da­re all´esperanto una dimensione internaziona­le. Poi l´idea di una lingua unificante e facile da apprendere incantò i gruppi socialisti che per molti anni si fecero sponsor dell´invenzio­ne di Zamenhof. Tuttavia l´esperanto non è riuscito a sfondare, rimane un po' confinato nella cerchia degli specialisti. La diffusione pe­rò si allarga. Oggi si tengono convegni un po' dovunque. l´ultimo a Rimini in piena estate. I cinesi, per ragioni politiche, sono fra i maggio­ri promotori di questa lingua da loro vista co­me l´antagonista dell´inglese. Radio Pechino mette in onda trasmissioni in esperanto.

Su internet migliaia di siti sono in esperan­to. La Chiesa cattolica ha un messale e un bre­viario in questa lingua che a Natale e a Pasqua usa anche il papa quando rivolge il saluto a tutto il mondo. I dittatori invece sono nemici dell´esperanto: Stalin, spaventato dall´idea di una comunicazione globale, spedì in Siberia i docenti di esperanto. Hitler temeva che gli ebrei potessero usarlo «per dominare il mon­do». Neanche Saddam Hussein gradiva e but­tò fuori dall´Iraq gli esperti di esperanto.

Ora si ripropone il dilemma: l´esperanto può essere il passaporto che ci salverà dalla confusione? Oppure bisognerà diventare tutti poliglotti come Lancelot Andrewes? Visse al­l´inizio del '600 e conosceva tante lingue che dicevano di lui: se fosse stato presente alla tor­re di Babele si sarebbe evitato il caos.

Marco Nese