Lungi da me l'idea di abbracciare la bandiera italianista e scatenare una guerra agli inglesismi presenti nel lessico quotidiano e, in particolare, in quello giornalistico. Sarebbe una battaglia persa. Ma un uso più moderato dell'idioma britannico aiuterebbe e contenere la sfrenata esterofilia linguistica che da qualche anno a questa parte sparge qua e là rumors, showdow, showcase e standing ovation a sproposito.

Odo un rumor - Usare il verbo estero quando non esiste un corrispettivo italiano sarebbe la regola, ma oggi assistiamo a una continua e indebita (ma anche inebetita) ingerenza di inglesismi anche laddove l’italiano calzerebbe a pennello. Che dire delle standing ovation, perfettamente traducibili con ovazioni eventualmente da tributare con uno scrosciante applauso? Oppure gli antipaticissimi rumors che forse non tutti sanno non essere rumori (qualche folle esegeta li ha così tradotti) ma voci, dicerie. Ecco l'italiano è talmente carico di sinonimi che a volte i surrogati esteri infastidiscono anziché no.

Reporters, occhio alle frontiere - Fra le prime complici vittime del reato di italiese, ci sono i giornalisti. E se le redazioni sono ormai diventate newsroom, che possiamo fare contro la moral suasion? La persuasione è ormai fuori moda mentre appoggio e sostegno hanno dovuto soccombere di fronte al più smart endorsement. Ma qui si arriva all’aberrazione degli inglesismi italianizzati come la voce del verbo “endorsare”. Caso a parte meritevole di nota è il termine “insorgenti”: un vero assassinio dell’italiano. Trattasi di traduzione dall’inglese insurgent. Ma in italiano non si diceva “insorti” e “insurrezione”? Pregasi sfogliare un vecchio manuale di storia. 

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