L’interessante tesi di laurea di Piero Silvetti, che ha analizzato l’evoluzione del giornalismo sportivo.
 
Dai neologismi del maestro Brera a alle contaminazioni inglesi, dall’essenzialità della comunicazione alla tempesta di superlativi oggi tanto di moda nelle telecronache. Il linguaggio del calcio sta al passo con i tempi e si evolve di continuo, ma mantiene costantemente le sue specificità.
 
 
Ad analizzare nei dettagli il fenomeno ci ha pensato un giovane studente dell’università di Sassari, che per la sua laurea in Scienze delle lettere e della comunicazione ha presentato una tesi incentrata sull’argomento. “Le tendenze linguistiche del giornalismo calcistico”, questo il titolo del lavoro (relatore Luigi Matt), va a fondo del fenomeno, analizzando i cambiamenti avvenuti negli ultimi trent’anni. «Il linguaggio del calcio può essere definito una "lingua speciale" – spiega il venticinquenne neo-laureato –, caratterizzata da particolarità lessicali, sintattiche e testuali che tende a differenziarsi dalla lingua comune e stabilisce un rapporto preciso tra le cose e le parole, presentando un grado di tecnicizzazione elevato. La differenza con le altre discipline è che esso risulta più di dominio pubblico rispetto ad altri campi, come la medicina e il diritto».
 
Un padre allenatore di lungo corso (Mario Silvetti ha allenato varie squadre, dal Castelsardo alla nazionale femminile), un fratello protagonista nel campionato di Eccellenza (Giuseppe, difensore del Taloro), mentre lui ha giocato solo a livello giovanile e ora il calcio, più che giocarlo, sogna di raccontarlo. Piero Silvetti analizza le terminologie utilizzate dai cronisti sportivi, dai termini gergali alle metafore di guerra, da Konrad Koch - considerato il precursore a livello internazionale - a Gianni Brera, maestro del giornalismo italiano. Melina, uccellare, incornare, goleador, contropiede, pretattica sono solo alcuni dei neologismi da lui inventati.
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