Elzeviro

La questione del latino

MARIO GABRIELE GIORDANO

(Osservatore Romano, domenica l3 agosto 2006, pagina 3)

 

“Chiesi la vita di Benvenuto Cellini a un libraio. “Non l'abbiamo”. Lo richiesi di un altro scrittore; e allora quasi dispettoso mi disse, ch'ei non vendeva libri italiani. La gente civile parla elegantemente francese, e appena intende lo schietto toscano”. E quanto scrive il Foscolo nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis ma è quanto tra non molto si dovrà probabilmente dire anche in Italia solo che al posto del francese si metta l'inglese.

Nella stessa lettera, che è quella datata «Milano, 11 Novembre», il Foscolo ricorda inoltre come «i Demosteni Cisalpini disputarono caldamente nel loro senato per esiliare con sentenza capitale dalla repubblica la lingua greca e la latina».

Quella «sentenza capitale» non fu però eseguita anche per l'opposizione di eminenti personalità come il latinista Montaldi e lo stesso Foscolo. Mancheranno invece analoghe personalità quando in Italia, tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, si eliminò il latino dai :programmi della scuola dell'obbligo con decisioni assunte non certo per improponibili ragioni culturali o didattiche ma per ragioni: ideologiche o, più propriamente, demagogiche.

Lo studio del latino fu bollato come residuo di una concezione elitaria della scuola e come elemento di discriminazione sociale all'interno del processo educativo. Questo palese pregiudizio maturato nel particolare clima politico del tempo venne tra l'altro a sacrificare la funzione strumentale dello studio del latino quale occasione di riflessione sulla natura e la dinamica della struttura linguistica in generale con la ben nota conseguenza di una diffusa e persistente ignoranza nell'uso scritto dell'italiano.

Mentre in Italia veniva così mortificato con un'azione che, riferendosi ad analogo contesto, Gian Luigi Beccaria ha definito «vandalica», in Europa e nel mondo, il latino veniva invece fatto oggetto di una crescente attenzione attraverso concrete iniziative di studio e di diffusione. In Finlandia, per esempio, circa dieci anni fa veniva addirittura creata una radio, «Nuntii latini», che tuttora trasmette aggiornati notiziari redatti nella lingua di Cicerone destinati non certo a perdersi nel vento ma a raggiungere persone in carne ed ossa.

Sarà per un alleggerimento delle preclusioni di natura ideologica o per una sorta di contagio del generale fervore che accompagna la riscossa del latino, il fatto è che anche in Italia, per quanto immutato resti il quadro scolastico, questa lingua e ciò che essa significa in fatto di cultura e di civiltà non rappresentano più da qualche tempo quel tabù che per lunghi decenni avevano anacronisticamente rappresentato. Servizi giornalistici, trasmissioni radiofoniche e televisive, forum, convegni, riviste specializzate soprattutto on line pongono con sempre maggiore frequenza la questione del latino. E interessante è il fatto che l'ottica delle discussioni non si limita alla problematica di natura scolastica ma proietta su una più vasta scala le potenzialità di questa lingua.

Ciò in ordine all’esigenza di individuare un idoneo strumento di comunicazione internazionale posta in generale dal processo di globalizzazione e in particolare dalla realtà dell’Unione Europea i cui Paesi - conviene sottolinearlo — hanno ininterrottamente usato il latino per circa venti secoli e il cui motto ufficiale anche oggi bellamente suona nella stessa lingua: In varietate concordia come del resto quello degli Stati Uniti: E pluribus unum.

Se tuttavia in Italia, contro ogni presupposto storico e culturale, queste potenzialità sono avvertite e sostenute con un certo impaccio, in altri Paesi, meno condizionati da complessi e pregiudizi grettamente provinciali e meno asserviti alla contingente invadenza della lingua inglese, esse sono oggetto di esplicite e circostanziate proposte per un ripristino del latino quale lingua ufficiale per le relazioni internazionali. Simili proposte, se naturalmente ordinate a prospettive di lenta e progressiva realizzazione, sono tutt'altro che peregrine e ciò per diverse ragioni.

La lingua inglese che attualmente esercita una indubbia egemonia e che sembrerebbe, per questo e non certo per altro, la più idonea a proporsi come lingua internazionale è pur sempre una lingua nazionale che, come in passato quella francese, impostasi per ragioni fondamentalmente politiche ed economiche è destinata al ridimensionamento con il venir meno di tali ragioni.

Il latino invece, per quanto esso stesso si sia imposto in antico per ragioni politiche ed economiche, è rimasto vivo e attivo per millenni anche quando tali ragioni sono venute meno in virtù di un fatto che nessuna delle lingue moderne può vantare, il fatto cioé che esso si era storicamente costituito come voce non di una particolare comunità ma dell'universo mondo allora conosciuto esprimendo in tal modo una civiltà per l'appunto universale che è rimasta come fondamento delle successive forme di vita e di pensiero.

E’ per questo che ancora oggi il latino è tutt'altro che morto, e non solo in quanto lingua ufficiale della Chiesa Cattolica, strumento internazionale delle classificazioni scientifiche o fonte di etimi, calchi, suffissi e prefissi per le più diverse esigenze espressive. Esso è tutt'altro che morto soprattutto perché presente, oltre che come attivo riflesso di civiltà, come vasta e dinamica componente lessicale, non solo nelle lingue neolatine, che comunque tra Europa e America costituiscono il più diffuso sistema di madrelingue di comune origine, ma anche in tutte le altre e principalmente in quella inglese tanto che gli studiosi parlano sempre più di anglolatinismo.

Tullio De Mauro ha in questo senso osservato che in inglese il fondo patrimoniale germanico è ormai ristretto al 10% del vocabolario mentre il resto è dato da un 25% di neoformazioni angloromanze e da un imponente 65% di parole di diretta o indiretta origine latina. Lo stesso studioso ha poi messo in evidenza che, nel Dictionary of Postmodern Terms preparato dall'Università di California, su 170 parole chiave della postmodernità solo 21 non sono latinismi o grecolatinismi e così conclude: «Il postmoderno, insomma, parla latino».

Si sa bene che in fatto di lingua le previsioni e le programmazioni non reggono ma si sa anche che l'orizzonte della storia è sconfinato e pieno di incognite. Se dunque a levarsi in favore del latino fossero nel tempo voci tanto autorevoli e coraggiose da sfidare interessi precostituiti e gli immancabili sorrisetti dei mediocri, non è detto che la lontana prospettiva di una sua assunzione a lingua internazionale sia solo un’idea da sciocchi.