Fin dalle Origini, è nella letteratura che è nato e si è rafforzato il senso dell’unità nazionale

In Italia prima della nazione è venuta la lingua: la lingua della letteratura, la cui validità e tenuta hanno prefigurato sin dalle Origini un’unità nazionale immaginata e inseguita nei secoli come un desiderio. Era toccato a un poeta, a Dante, segnare la data d’inizio di quest’unità ideale, quando nel De vulgari eloquentia vide l’Italia come lo spazio geografico su cui la lingua del sì avrebbe dovuto diffondersi. La parola poetica comincia a distendersi su un’unità geografica e culturale prima che essa esista realmente. L’idea e la fondazione di quest’unità linguistica sarà ancora più a fondo acquisita nel Cinquecento, sulla base dei concetti della pedagogia umanistica, che aveva fissato il canone dei buoni autori da prendere a modello per scrivere latino; per l’italiano identica decisione fu presa sin dai primi del Cinquecento, quando un veneto, Pietro Bembo, additò anche per il volgare i buoni libri degni di imitazione, i classici fiorentini dell’«aureo» Trecento, le «tre corone», Dante, Petrarca, Boccaccio. A noi mancava allora una nazione, ma la cultura umanistica, già all’avanguardia in Europa in fatto di latino, precedeva gli altri paesi quanto alla prima codificazione di una lingua volgare, tracciando in ambito culturale i confini di una normativa unitaria.

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