Rinunciare alla lingua italiana significa mutilare la nostra originale creatività

Il ministro Francesco Profumo ha da poco nominato il comitato nazionale dei garanti per la ricerca, che si dovrà occupare della valutazione dei progetti elaborati nell'ambito della comunità scientifica italiana. Ma non mi pare che nessuno abbia notato la stranezza, non saprei come altro definirla, di aver incluso tra i sette componenti il comitato (e come unico rappresentante per le discipline umanistiche) il greco Angelos Chaniotis, professore di Storia antica a Princeton.

Si tratta certamente di uno studioso di prestigio; ma è impossibile non chiedersi se era davvero indispensabile che in un Paese come il nostro, che ha una tradizione di studi storici (e di studi classici) certamente di rilievo, si dovesse scegliere un docente straniero. Mi pare insomma difficile non vedere in una scelta simile l'ennesimo sintomo di quell'esterofilia che si va ormai affermando ai vertici del ministero dell'Università, del resto in piena continuità con le scelte del predecessore dell'attuale ministro. Ricordo come solo un anno fa la riforma Gelmini stabilisse, quale primo passo per diventare professore associato o ordinario, la necessità di ottenere un'idoneità da parte di una commissione formata da cinque docenti, uno dei quali obbligatoriamente proveniente da un Paese dell'Ocse. In questo caso, la presenza di quello che si configura come una sorta di osservatore internazionale indica quale considerazione il ministero, e forse il Paese, ormai abbiano del comportamento dei professori universitari, considerati in buona sostanza degli imbroglioni matricolati.

L'esterofilia dei responsabili dell'università assume soprattutto le forme di una anglofilia (o anglomania), come testimoniano due fenomeni sui quali il «Corriere» ha ospitato di recente vari interventi: l'assoluta predominanza che nel sistema di valutazione della ricerca universitaria hanno le pubblicazioni in inglese e la tendenza, nell'insegnamento universitario, a dismettere la lingua italiana per utilizzare invece la lingua inglese.

Leggi l'articolo di Giovanni Belardelli - corriere.it