Quando Arabanoo fu catturato dai coloni inglesi nel 1799, non sapeva che sarebbe diventato il primo interprete aborigeno, il primo del suo continente a imparare l'inglese e a diffondere così fra i suoi un contagio che avrebbe distrutto più della metà delle 250 lingue allora parlate in Australia. Oggi solo 110 sopravvivono, spesso parlate da pochi individui e di queste appena una decina sono abbastanza integre da poter essere insegnate. Lingua unica contro tante lingue diverse, l'inglese ha stravinto ma spesso non ha le parole per nominare le cose dell'ennesimo continente che ha conquistato.

Così non può descrivere il tipico rumore che fa la corteccia degli alberi quando si stacca dal tronco sotto le raffiche del vento. Walu si dice in lingua ngiyambaa, che significa anche malinconia, nostalgia di casa. Me lo racconta un calabrese emigrato da poco a Melbourne, che qui ha ritrovato intatto il grecanico dei suoi nonni, scomparso nella sua terra ma conservato gelosamente dalla tenace emigrazione italiana. Quando sarà morto anche l'ultimo locutore di ngiyambaa, la malinconia del vento che stacca la corteccia non scomparirà dal cuore degli aborigeni, ma non ci sarà più la parola per dirla.

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