31/12/05 Corsera

Anniversari: In un saggio di Carla Sarandrea la storia della lingua universale creata dal medico polacco Zamenhof

Esperanto, cento anni nella Capitale

Tra i suoi cultori anche Migliorini Nel 1925 il gruppo si riuniva nel Caffè Greco


Pare che le cronache esperantiste non abbiano dubbi: Daniele Mari-gnoni, di Crema ma laureato a Pari­gi, fu il primo italiano a mettersi a studiare l'esperanto, di cui scrisse la prima grammatica nella nostra lin­gua nel 1890. Erano passati solo tre anni da quando il medico polacco Zamenhoff creò questa lingua pun­tando sulla semplicità fonetica e grammaticale, oltre che su una base lessicale il più condivisa possibile e pensandola come strumento di co­municazione universale. Un'idea semplice e legata all'entusiasmo e la fiducia nel futuro della cultura posi­tivista di quegli anni, che poi la pri­ma guerra mondiale e le tragedie del Novecento avrebbero in gran parte disilluso. Ma le utopie hanno un fa­scino che le porta a sopravvivere, specie se il mondo si dimostra sem­pre più una Babele in cui gli uomini fanno fatica o proprio non riescono a comprendersi.

Così in questi giorni si celebrano i 100 anni del gruppo esperantista ro­mano e, anche seguendo il filo di un saggio che ne ricorda le origini, a fir­ma di Carlo Sarandrea, si scoprono curiosità e riferimenti interessanti. Chi, per esempio, dei tanti che han-


no studiato la Storia della lingua ita­liana sulle pagine di Bruno Migliori­ni o la geografia sui libri del fratello Elio, sa che i due sono stati convinti studiosi e cultori dell'esperanto? E il primo è anche l'autore della migliore (come non si fa fatica a credere) grammatica italiana dell'esperanto. Ce lo ricorda un altro linguista che fu suo allievo, Tullio De Mauro, ag­giungendo che come studioso questi fu influenzato dalla sua passione, di­mostrando una particolare attenzio­ne per gli interventi di ti­po normativo e la coeren­za dei casi grammaticali.

Ma prima di loro, il gruppo aveva già preso vita, se la sua attività si può far risalire al 1902, quando monsignor Luigi Giambene, ben introdot­to nella Curia pontificia e docente di ebraico all' Università Urbaniana, comincia a dedicarvisi, riunisce sim­patizzanti, pubblica documenti e il 21 aprile del 1905 riunisce un grup­po di cultori che il 14 dicembre di quell'anno fondarono ufficialmente la Società esperantista romana col nome latino di «Imperiosa Civitas». Ne è nominato presidente France­sco Barberi, impiegalo statale e fon­datore dell'impresa «Lux perpetua», che dal 1915 cominciò a portare luci votive elettriche al Verano.

Di quel primo gruppo, ci ricorda


Sarandrea (che personalmente cura le trasmissioni trisettimanali in espe­ranto di radio Vaticana ed è segreta­rio dell'Associazione cattolica espe­rantista internazionale), fanno par­te, oltre al Gimabene che viene elet­to segretario, Alfonso Serafini (vice­presidente), Gioacchino Laurcnti (vicesegretario e, nel dopoguerra, so­printendente alle Belle Arti a Ro­ma), Italo Bonacelli (bibliotecario) e risultano soci fondatori anche Pri­mo Dottarelli (fotografo, che impa­rò anche l'arabo, con stu­dio in via Belsiana), con la moglie Rosa Selvaggi e Alpino Tenedini, alcuni dei quali, più altri, ritro­viamo in una bella foto­grafia color seppia del 1908, scattata sulla salita del Pincio.

Il gruppo cresce costan­temente e nel 1925 ha bi­sogno di una sede per le proprie riunioni: viene scelto il caffè Greco di via Condotti, con appunta­mento la sera del primo e terzo giove-di di ogni mese. E lì che fa la sua comparsa Luigi Minnaja, allievo esperantista di Migliorini, tradutto­re in esperanto di tanti classici della letteratura italiana e legato alla sto­ria delle trasmissioni in quella lin­gua di Radio Roma, iniziate nel 1935, interrotte per la guerra, e ripre­se nel 1950. Non sarà quindi a caso che l'Italia


ospiterà nel 2006 a Firenze il 91' Congresso Universale di Esperanto (29 luglio - 5 agosto). E solo nell'ulti­ma legislatura sono stati depositati due disegni di legge che riguardano questa lingua: il 5714 firmato da Emerepzio Barbieri dell'Udc per l'ac­cesso e lo studio alla lingua interna­zionale esperanto, e il 6064 di An­drea Colasio della Margherita in di­fesa, sempre attraverso l'esperanto, «delle diversità linguistico-culturale per l'affermazione dei valori di pace, democrazia e progresso».

Sono i valori in cui crede anche Sa­randrea, che ricorda a chi critica il sogno esperantista, come «a inìzio Novecento si dicesse che ormai la lin­gua internazionale c'era ed era il francese, non diversamente da quel che si dice oggi dell'inglese. Senza contare che l'esperanto è una lingua neutra, priva di connotati politici e ideologici e non mette alcun popolo linguisticamente in vantaggio rispet­to ad altri, anzi vi mette alla pari tut­te le letterature nelle sue traduzioni, che vanno dai classici di ogni tempo alle opere dei premi Nobel odierni, passando, visto che si parla di grup­po romano, per il Belli».

Paolo Petroni

Gli appassionati

romani fondarono

il 14 dicembre

del 1905

l'«Imperiosa

Civitas»