23/03/07 Diario

Lettura: e se imparassimo un glorioso idioma da pari opportunità mondiali?

Mi havas ion por diri al vi

«Ho qualcosa da dirvi»: è la traduzione di questo titolo scritto in esperanto. Una lingua salvata per tutti e tuttora in forze

di Andrea Montagner

Perché parlare ancora di esperan­to? C'è davvero ancora qualcuno che lo parla? Sì, semplicemente, è la risposta.

Da 120 anni, da quando cioè il dot­tor Ludovico Lazaro Zamenhof ha pub­blicato la prima grammatica, l´esperanto non solo ha rinnovato i motivi della sua esistenza, ma dopo ogni «crisi» ha ritro­vato forze ed energie nuove per ripro­porre un tema apparentemente margi­nale: quella parità di trattamento nella comunicazione linguistica che nessuna lingua «naturale» può garantire.

Certamente non si può negare l´origine europea di que­sta lingua e neanche il fatto che gli strumenti linguistici del­l´epoca - parliamo di fine Ottocento - non si possono certo paragonare a quelli esistenti oggi. Eppure ormai tutti i ma­nuali di linguistica riservano un capitolo all´esperanto, a que­sto piccolo miracolo umano, che ha sfidato tutte le leggi del­la logica e del «buon senso». D'altronde è in Europa che sono nate le grandi idee che hanno mosso il mondo e dato solu­zioni pratiche, ma anche gli ideali, a grandi problemi che han­no sconvolto e sconvolgono l´umanità.

Zamenhof era una persona modesta, un medico polac­co che ha colto i segni dei tempi, allora, in un clima che chia­mava l´esigenza di una lingua internazionale facile, che po­tesse fare da ponte tra i popoli senza che alcuno di essi si sen­tisse invaso culturalmente da alcunché. Alla fine lo stesso Za­menhof, a garanzia di questa assenza di invadenza culturale, rinuncia a ogni diritto d'uso della lingua espe­ranto per chi lo usa per ogni scopo che ritenga utile e, come tutti i bene­fattori dell´umanità, rimarrà nel­l´ombra. Nasce un movimento espe­rantista anche a livello mondiale, e nascono movimenti di pensiero le­gati a ideologie e religioni che usano l´esperanto per comunicare recipro­camente a livello internazionale. Na­scono i primi congressi esperantisti: nel 1905 il primo congresso univer­sale a Boulogne-sur- Mer, in Francia, e nel 1921 nasce la prima organizza­zione di lavoratori, la Sat, Sennacieca Asocio Tutmonda.

Cosa succede in Italia? Anche in Italia nascono i primi circoli espe­rantisti in seguito a quel primo con­gresso, e nella sinistra le prime testi­monianze vengono da Torino, dove, nel 1918, Vezio Cassinelli - un ope­raio socialista - propone i corsi di esperanto all´interno della Scuola del popolo, per dare a tutti uno strumento per comprendersi con facilità e rapidità.

A quel tempo, però, Antonio Gramsci, giovane redattore dell´Avanti, reagisce violentemente a questa proposta, in no­me di un internazionalismo che avrebbe portato a una lingua internazionale co­me lingua del vincitore. Tale condanna è stata tombale per ogni sviluppo, sia pur minimo, della diffusione dell´espe­ranto negli ambienti della sinistra stori­ca per molte generazioni.

Oggi, in ogni caso, l´esperanto vi­ve come proposta di uguaglianza lin­guistica e i congressi che si svolgono in tutto il mondo sono la proposizione, in chiave di incontro, di come ogni associazio­ne o partito avrebbe la possibilità, con poco sforzo, di effet­tuare un incontro senza la intermediazione linguistica di in­terpreti e quindi senza costi aggiuntivi. Sempre oggi, chi par­la esperanto assomiglia a una figura di romantico, se mai l´at­tuazione «definitiva» della lingua mai avverà: la figura di un sognatore che mette in luce delle contraddizioni del presen­te, come se quelle contraddizioni in campo linguistico fosse­ro complessità ben più profonde.

In un mondo che mette in crisi l´associazionismo espe­rantista, proprio in Italia è nata Arci Esperanto, circolo Arci che ha sede a Milano, ma che raccoglie consensi in tutta Ita­lia. Lo scopo di Arci Esperanto è prima di tutto recuperare la memoria di uomini come Vezio Cassinelli, a cui è intitolato il circolo, o come Angelo Filippetti, la cui azione favorì l´introduzione del­l´esperanto nelle scuole popolari di Milano. Ma è anche prioritaria l´a­zione nel presente dei movimenti, quello per la pace innanzitutto: vie­ne proposta una nuova immagine dell´esperanto, non certo legata a un' élite di «borghesi che viaggiano per affari o per divertimento» (per cita­re l´ormai famosa lettera di Gramsci al Grido del popolo del 16 febbraio 1918) ma come reale e concreta so­luzione democratica ed egualitaria della comunicazione (nell´immagi­ne a fianco: la prima pagina della pri­ma edizione italiana della Gramma­tica completa di Esperanto, di Luciano Cattorini, pubblicata nel 1914 nella collezione della Cattedra italiana di Esperanto).

(Andrea Montagner è presidente di Arci Esperanto di Milano e consi­gliere nazionale della Federazione esperantista italiana).