La Stampa

IL GERGO DEL TURISMO E' DIVENTATO INCOMPRENSIBILE

Low o slow?

La vacanza è una Babele

Troppo inglese, gli italiani si perdono

ROSELINA SALEMI

Prendere un volo low cost, con un'offerta last minute e passare un weekend in beau­ty farm o in un B&B. Il relax? Con slow food. Tutto chiaro? Per niente. Secondo una ri­cerca dell'Istituto Lexis di Milano (cinquecento intervi­ste a uomini e donne tra i 20 e i 65 anni, con livello di istru­zione superiore) commissio­nata da FiloComunicazione, specializzata nell'industria delle vacanze e nel lifestyle, il linguaggio del turismo è di­ventato troppo difficile. Pec­cato, perché è appena inizia­ta la bella stagione dei ponti e delle feste e il 33 per cento degli italiani è pronto a di partire.

Gli equivoci della lingua

Quasi tutti hanno digerito il termine low cost, (significa

viaggi a basso costo per il 45 per cento degli intervistati), ma c'è chi immagina viaggi lungo la costa e chi traduce «volare basso». Last minute è un termine usuale per il 38 per cento, mentre Spa (salus per aquam) è sempre e sol­tanto società per azioni. Po­chissimi (7 per cento) lo asso­ciano a centro benessere.

Sorprende di più l'occhio sbarrato alla parola slow fo­od, espressione del movimen­to cultural-eco-gastronomi-co che ha piantato ovunque il vessillo della lumachina. Il quaranta per cento per cen­to del campione non sa che cosa sia. Il 24 per cento lo stravolge completamente. Slow food diventa pranzo ve­loce, cibo di basso livello (or­rore!), mangiare tipo McDo­nald's. Il 14 se la cava con l'idea del mangiare piano.

Senza contare il dilemma di country house e flag food (sarebbe il piatto-bandiera di una località, tipo la piadi-na romagnola) che pratica­mente nessuno conosce.

Osserva Filomena Rosa­to, di FiloComunicazione: «Neologismi, espressioni an­glofone e contaminazioni re­se vorticose dall'uso della tecnologìa, fanno soltanto confusione: così, il consuma­tore fatica a orientarsi nella varietà delle offerte». Non sorprende perciò che alla «Sterling Airlines», giovane (almeno in Italia) compagnia area low cost, specializzata in collegamenti con i Paesi scandinavi, abbiano limitato al minimo l'uso dell'inglese nelle comunicazioni ufficiali. Una posizione non isolata. Mentre si dibatte sul modo di comunicare (ci sono stati tre convegni), Charles Durand (università di Belfort, Francia) tuona contro l'impe-

rialismo linguistico: «L'inglese è il veicolo della più orrenda macchina di propaganda mai concepita dall'uomo». La gen­te, come l'arboriano Maurizio Ferrini, spesso non capisce, ma si adegua.

Partire comunque

Buona notizia: facendosi stra­da nella giungla di country house, bed&breakfast e well-ness center, i turisti aumenta­no. Domenico De Masi, docen­te di Sociologia del Lavoro al­l'Università La Sapienza di Ro­ma, parla addirittura di mo­mento magico. L'anno scorso, nell'Europa mediterranea gli arrivi internazionali sono sali­ti di 5,7 punti, con previsioni di ulteriore crescita per il 2007. E va bene il low cost, (che ha già superato nei volumi il traf­fico di linea). «Ma c'è poca of­ferta per il fenomeno dell'high cost - sostiene Rosato - cioè per l'elite disposta a spendere. Viaggiatori che chiedono ser­vizi di alto livello e non li trova­no, un target emergente». De Masi le dà ragione; «Il turista sarà sempre più ricco, attento e consapevole».

Autarchia linguistica

In attesa dei vacanzieri inver­nali (il 43 per cento andrà in montagna, il 33 al mare e il 27 nelle città d'arte), tenuto con­to di tutto, i furbi si specializza­no e i saggi cominciano a chia­mare le cose con il loro nome: casa di campagna, dimora sto-

rica, borgo-albergo. Meglio maso (Alto Adige) o masseria (Sicilia) che country house. Meglio camera in alcova che junior suite, dicono in Sarde­gna, terra di raffinate autar­chie linguistiche. Dove chi ha ama il food, più o meno slow, deve imparare a chiedere culurgionis (ravioli) e casizolu (formaggio). Poi, dopo le op­portune dosi di mirto, potrà danzare il ballo tondo al suono ammaliante delle launeddas. Niente male come lifestyle.

LA CRUSCA

«Via le parole straniere dai vocabolari»

«m «Negli ultimi 50 an­ni l'esterofilia ha fatto passi da gigante, fuori di ogni senso di misura, e sarebbe l'ora non dico di tornare alle appendi­ci, ma di radiare total­mente dai vocabolari le voci straniere che sem­pre più numerose imba­stardiscono ogni giorno il nostro idioma». Così il linguista Alfonso Leo­ne in un articolo-denun­cia dal titolo «L'italiano imbastardito» sul nuo­vo numero del periodi­co «Studi Linguistici Italiani» (Salerno editri­ce), diretto dal profes­sor Luca Serianni, so­cio dell'Accademia del­la Crusca. «Quando in­somma si perde il senso di misura, quando si procede a rotta di collo, bisogna pur ricorrere a rimedi estremi E le isti­tuzioni che vigilano sul­la lingua e le scuole che la insegnano dovrebbe­ro tentar di fare la loro parte».

LA STAMPA del 4/12/06 p. 21