LITURGIA  La ricerca di un linguaggio universale per la Chiesa secondo l´abate e filosofo

Rosmini, esperantista ante litteram

Una lingua universale da affian­care al latino nelle preghiere quoti­diane come nella liturgia delle fe­ste comandate, una lingua capace di annullare l´incomunicabilità tra clero e popolo ovvero quella inco­municabilità che per molti rappre­senta «la prima piaga del Cattoli­cesimo». Sembra partire da qui la riscoperta di Antonio Rosmini (1797-1855) da parte degli espe­rantisti cattolici d'Italia dell´Ueci. Da oggi fino a martedì riuniti per il loro quindicesimo congresso a Barza d'Ispra, in provincia di Vare­se.

Proprio per questo l´appunta­mento è stato intitolato alla «spiri­tualità di Antonio Rosmini» o (per dirla con la lingua inventata da Ludovico Lazzaro Zamenhof nel 1887) alla sua spiritualeco. Cer­cando di ritrovare «le eventuali analogie esistenti fra le vecchie idee del pensatore ottocentesco e i

più recenti sforzi degli esperanti­sti cattolici».

Nell´autore del Nuovo Saggio sull´origine delle idee i mille espe­rantisti cattolici italiani (ma anche i loro confratelli europei del­l´Ikue) vedono dunque un antici­patore costantemente impegnato nella ricerca «di uno strumento unico (anche in fatto di parole) che potesse rendere validi servizi sia a tutta l´umanità che alla Chie­sa». Come d'altra parte faranno dopo di lui San Massimiliano Kol­be o il Beato Titus Brandsma che al movimento esperantista furono «molto vicini».

Le premonizioni di Rosmini (celebrato a Barza d'Ispra anche con preghiere e liturgie in esperan­to) sono da tempo diventate real­tà. Tanto che la Radio Vaticana trasmette tre volte alla settimana programmi in esperanto e tanto che (nel 1990) la Santa Sede ha ap­provato un «messale festivo» in questa lingua. E mentre è in corso di pubblicazione per l´editrice Cit­tà Nuova di Roma l´opera omnia dell´abate. rovetano, il presidente della Ueci Serio Boschin sottoli­nea che «Rosmini credeva che un linguaggio universale potesse per­mettere di capire meglio i sacra­menti senza compromettere la spi­ritualità».

Si dice che l´esperanto si possa imparare con uno sforzo di sei vol­te inferiore ad una comune lingua straniera. Ma più che la via della comprensione didattica stavolta si è scelta la via della universalità spi­rituale. Una universalità che passa anche da un libretto pubblicato dalle Edizioni Paoline che acco­glie mille e cinquecento canti sacri (tutti rigorosamente in esperanto) provenienti dalla liturgia cattolica come da quella protestante.

Stefano Bucci