IL VALORE DELL´ESPERANTO

Caro Direttore,

sono un abbonato dì «Av­venire» e opero nel campo dell´insegnamento delle lin­gue straniere come ordina­rio di Filologia Semitica e affidatario di Interlinguisti­ca ed Esperantologia per il corso di laurea triennale in Comunicazione intercultu­rale della facoltà di Lettere e Filosofia dell´Università di Torino.

Le scrivo per rispondere alla garbatissima lettera di don Graziano Marini ("E-speranto: le vere barriere", del 27 febbraio). Per motivi di lavoro viaggio assai e pra­tico numerose lingue occi­dentali ed orientali, e forse proprio per questa ragione, dopo aver conosciuto l´e­speranto, lo considero una lingua qualitativamente su­periore alle lingue etniche che conosco. Concordo in ciò con insigni maestri qua­li Bruno Migliorini (lingui­sta) ed Alessandro Bausani (orientalista). I circa duemila volumi in esperanto della biblioteca della Libera Università di Lingue e Co­municazione Iulm di Mila­no lo possono documentare.

Detto ciò, so bene che l´e­speranto è ancora una realtà marginale e priva del­la massa critica necessaria per richiamare l´interesse dei politici. Perché è solo per la precisa volontà del potere politico che un idioma di­venta lingua scritta di uno Stato (o di una federazione) e si trasforma in lingua et­nica (o superetnica).

Occuparsi di esperanto ha comunque una valenza profetica, come ha ben com­preso l´attuale Pontefice (l´Ikue, l´associazione catto­lica dei fautori dell´espe­ranto, a cui sono fiero di ap­partenere, è stata ricono­sciuta di diritto pontificio nel 1992).

Ritengo che l´angloame­ricano, anziché vanificare l´esperanto, costituirà il mi-

glior battistrada per farne valutare le insuperabili qua­lità intrinseche. L´attuale lingua egemone sarà invece responsabile del drastico ri­dimensionamento delle lin­gue nazionali. Nel suo pic­colo l´italiano ha già fatto la stessa cosa con i dialetti.

Fabrizio A.

Pennacchietti

Università di Torino

Lettera al quotidiano Avvenire 8/3/02 p.20