Siamo davvero sicuri che l’inglese
faccia bene all’Unione europea?
di Andrea Chiti-Batelli Tutti, o quasi, abbiamo sentito, o letto sui giornali, le sciocchezze madornali dette da Celentano sui trapianti, e la impeccabile smentita di una persona seria e competente come Veronesi: un cantautore è meglio che canti, e non che si occupi di cose su cui e’ del tutto incompetente, e su cui non ha mai seriamente riflettuto. "Così parlarono due imbecilli ", era il titolo di un romanzo di quasi un secolo addietro: e lo stesso poteva dire – con riferimento a Copernico e a Galileo – un incompetente in astronomia seduto in riva al Tirreno ad ammirare il tramonto: si vede benissimo che è il sole che si muove, e non la terra. E farebbe la figura del gelataio ambulante Panaroni, che gridava per le strade e scriveva sui muri: "La terra non gira, o bestie!"
E’ invece opinione largamente diffusa che un intellettuale, uno scrittore, un romanziere sia esentato da quest’obbligo della competenza - e da quello di riflettere prima su ciò che afferma- e che a lui sia concesso di dire e scrivere e veder apprezzate e pubblicate le prime corbellerie che gli vengono in mente su ciò di cui non si è mai seriamente occupato. Piena licenza di "déconner", si direbbe in francese. E’ esattamente quello che succede con l’articolo di Peter Schneider, "Io, tedesco, scelgo l’inglese fa bene all’Europa, apparso sul "Corriere della Sera" del 6 maggio 2001 (basta il titolo a qualificar l’autore). Ma a mio avviso un incompetente è sempre un incompetente, anche se è un intellettuale.Non credo che le vacuità di costui meritino più attenzione di quelle che potrebbe dire, non meno a casaccio, in argomento, il mio pizzicagnolo (il quale invece – ben più saggio di lui sa, come Socrate, di non sapere, e tace su ciò che non conosce).
Che il mondo abbia bisogno di una lingua franca unica, che questa sia sempre stata imposta dalla potenza politicamente egemone, che quindi sul momento non ci sia alternativa all’inglese, questo non c’era bisogno dello scopritore di ombrelli di turno per insegnarcelo. Sapevamcelo. Il solo punto su cui bisogna prender posizione è se si deve accettare a cuor leggero - ricordando che le stesse cause producono gli stessi effetti - che, come il latino ha distrutto in radice le lingue autoctone della parte d’Europa su cui ha potuto estendersi il dominio dell’Impero romano, così debba accader anche oggi, in Europa e nel mondo, a beneficio dell’inglese. Lo Schneider deve probabilmente ad Arminio, e alla bellicosità dei suoi antenati, se lui e i suoi antenati possono ancora- ma non per molto- parlar tedesco; e alla sua incompetenza il fatto di condividere la sensazione propria del tedesco medio che sente l’inglese come una sorta di tedesco semplificato e quindi relativamente facile, il che attenua o addirittura cancella la sua percezione del pericolo futuro.
Questo dunque è il solo punto su cui ci si deve pronunziare: si deve accettare passivamente l’ecocatastrofe che ci minaccia, non solo linguistica, ma anche culturale (perché una cultura non sopravvive, se muore la lingua che la esprime)? La minaccia è certa, e cresce il numero dei linguisti e sociolinguisti che mettono in guardia contro il subdolo progredire (subdolo perché graduale, e perciò inavvertito ai più). Ricordiamo solo, per brevità, quello che è forse il massimo linguista francese vivente, Claude Hagège, che nel suo libro "L’enfant aux deux langues" (Parigi Odile Jacob, 1996) prevede anch’egli, entro un secolo, la fine di tutte le lingue europee, se tutto resterà come oggi. Si può poi, a ragion veduta, accettare ed assuefarsi all’idea che il mondo, fra cento anni, e in particolare l’Europa, saranno caratterizzati da una squallida anglolalia universale. Ma se non si sospetta neppure questo rischio- e quindi non si prende posizione- non si è neppure intravisto qual’è il problema, e quindi non si è meritevoli di esser presi sul serio, e di ricever una risposta più articolata.
Per gli altri, se mai, non per Schneider (per lui vale il principio evangelico che non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire), c’è da aggiungere che l’esempio del latino prova anche un’altra cosa: quando esso non è stato più lingua di un impero – e soprattutto non è stato più lingua materna per nessuno- il suo effetto glottofagico è cessato, ed esso ha potuto essere per secoli lingua franca esclusiva della cultura, senza per questo impedire lo sviluppo dei volgari e delle altre lingue del vecchio continente. Dunque una lingua inventata non materna per nessuno (oggi solo l’Esperanto è pronto per l’uso) potrebbe al tempo stesso costituir la lingua franca dell’Europa e del mondo, senza minacciar l’identità culturale e linguistica dei vari popoli. C’è dunque, in astratto, un’alternativa all’inglese. Tale alternativa è per ora, dicevo, prettamente astratta, perché dietro l’esperanto non c’è nessun potere politico. Ma se l’Unione Europea divenisse un vero Stato federale, e quindi una grande potenza, essa avrebbe un interesse ad avere una lingua federale ufficiale neutra, che metta tutti i suoi popoli su un piano di parità, combattendo così, al tempo stesso, l’egemonia dell’inglese, che non è solo linguistico-culturale perché non può non avere, e specie a medio-lungo termine, ripercussioni anche politiche.
Diceva Alberto Mochi, medico e autore di una "Filosofia della medicina" (Siena,Ticci,1948) che una pestilenza si estingue in due modi: uno, naturale, con la morte di tutti i soggetti che non resistono al male; una, umana e scientifica, grazie alle vaccinazioni,alle prevenzioni, alle cure ideate dalla scienza medica. E’ questo il caso nostro: ma nulla sarebbe più assurdo che sperare di far comprendere verità pur così elementari a degli Schneider. Essi non riflettono, ma sputano sentenze a vanvera, come l’animale che prima digerisce e poi mangia. Per cui mi sembra d’obbligo un’ ultima citazione degna di "intellettuali" di tal calibro. Ettore Petrolini, beccato in continuazione, durante un suo spettacolo, da un loggionista, a un certo punto perse la pazienza e gli disse: "Io non ce l’ho con te, ma con quello che ti sta accanto e non ti butta giù". Anche noi , io credo, non dovremmo avercela non con lo Schneider, ma col "Corriere" che lo pubblica. Esso non ha dimenticato, evidentemente, il fulgido esempio di Pietro Ottone, che vi ospitava articoli, ad es. di Natalia Ginzberg (per non citare sempre il solito Pasolini) dove questa ci faceva sapere che del "Don Carlos" di Verdi le piaceva solo "Dormirò sol", mentre tutto il resto le sembrava un rumore incomprensibile e inutile. Così la stampa più qualificata adempie alla sua funzione educativa.
Andrea Chiti-Batelli
Presidente onorario dell’Associazione Radicale Esperanto