Oggi in Lettonia si tiene un referendum per decidere se rendere il russo la seconda lingua ufficiale del paese, dopo il lettone. La proposta, che secondo le previsioni sarà con molta probabilità respinta, ha risollevato qualche tensione a distanza di circa venti anni dal momento in cui la Lettonia si separò da quella che all’epoca era l’Unione Sovietica. Circa un terzo della popolazione nel paese è di origini russe e lamenta di essere spesso discriminata dalla maggioranza lettone. Quando avvenne la divisione, la conoscenza del lettone divenne un prerequisito fondamentale per ottenere la cittadinanza. Circa 300mila russi, spiegano sulla BBC, si opposero a questa imposizione e a oggi continuano a vivere in Lettonia senza avere la cittadinanza e quindi la possibilità di votare alle elezioni, o di ottenere incarichi pubblici. «Non c’è alcuna necessità di una seconda lingua» ha detto il presidente Andris Berzins, ricordando che i problemi del paese sono altri a partire dalla necessità di rilanciare l’economia.
Minoranze e diversità linguistiche esistono praticamente in tutti i paesi del mondo. Trovare una nazione in cui le persone parlino unicamente una lingua è molto difficile, come mostra il grafico dell’Economist. La colonna con i numeri a destra indica la quantità di lingue parlate in un dato paese, mentre le barre mostrano l’indice di diversità linguistica di Greenberg, che classifica i paesi in base alla probabilità che due loro abitanti possano avere in comune la stessa lingua madre. Stati Uniti, Russia, Brasile, Cina e Messico hanno oltre 100 lingue ciascuno, ma un basso indice per quanto riguarda la diversità linguistica perché inglese, russo, portoghese, cinese e spagnolo sono arrivate a un tale livello di diffusione e uso da minacciare l’esistenza delle altre lingue. Povertà e particolari condizioni geografiche, come far parte di un arcipelago, favoriscono invece un indice più alto come nel caso di Papua Nuova Guinea.
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