La conoscenza di più lingue, oltre quella materna, è da tempo una chiave di accesso privilegiata al mondo del lavoro, sia in Patria che all’estero, oltre a consentire più vaste esperienze culturali e di vita.
Per noi italiani è ovvio che, prima di tutto, è bene conoscere l’inglese ad un buon livello, ma per gli Inglesi?
Se per un inglese, fino ad oggi, almeno, non era necessario parlare altre lingue (tanto, all’estero, qualcuno che capisce un po’ di inglese si trova sempre), ora la situazione è cambiata.
Gli studenti britannici che aderiscono al programma Erasmus come parte del proprio corso di studi, sono tre volte meno numerosi degli studenti di altri Paesi europei che fanno la stessa scelta e che possono, così, accedere ad attività di studio e lavoro e, approfondendo altre lingue, avere maggiori opportunità di impiego in Europa. Tali possibilità sono ridotte se gli studenti sono monoglotti, cioè in grado di parlare solo la lingua nativa.
La competizione in altri Paesi europei, al riguardo, è molto forte e rischia di mettere nell’angolo l’Inghilterra dove l’insegnamento delle lingue straniere al di sotto dei 14 anni non è obbligatorio. Poco diffuse sono anche le CLIL, classi in cui l’insegnamento di determinate discipline viene impartito in una delle lingue comunitarie diversa da quella materna.
Il governo britannico, perciò, pare voglia correre ai ripari inserendo l’insegnamento di più lingue, fin dall’inizio della scuola dell’obbligo, per colmare il gap creatosi nel tempo fra i giovani inglesi e gli altri ragazzi europei.
Già nell’ottobre scorso, il ministro per l’istruzione Michael Gove si era espresso a favore di un insegnamento precoce delle lingue, affermando che, ciò che viene fatto in molte scuole per propria iniziativa, deve diventare un’attività estesa sistematicamente all’intero comparto dell’istruzione.