Si sta riesaminando la controversa realtà degli universali linguistici - Un punto acquisito: le funzioni cerebrali specifiche dell’area del Broca
di Renato Corsetti *
I giornali hanno riferito le ricerche di psicolinguistica fatte al San Raffaele di Milano, insieme con l’Università di Amburgo, dalle quali risulterebbe che le regole grammaticali sarebbero originate nell’area cerebrale di Broca, dando così ragione a Chomsky, per il quale il linguaggio umano è innato ed esiste una grammatica universale delle lingue. Il sogno di Andrea Moro, uno dei protagonisti delle ricerche, sarebbe quello di realizzare un nuovo esperanto.
L’esperimento di Moro, dell’Università Vita e Salute del San Raffaele, Maria Cristina Musso e due colleghi dell’Università di Amburgo, Cornelius Weiller e Christian Buchel, è importante e di grande attualità perché si inserisce nel filone degli esperimenti effettuati con la risonanza magnetica, che ci permette di aprire una finestra sul funzionamento "meccanico" della mente, e perché si inserisce nell’ampio dibattito sulla realtà o meno dell’ipotesi circa la Grammatica Universale e la sua "accessibilità"per il discente di una seconda lingua.
Che le affascinanti teorie chomskiane tengano ancora impegnati i ricercatori è una testimonianza dell’interesse a trovare spiegazioni semplici, in qualche modo"religiose", a fenomeni complessi.
Non per niente Piattelli Palmarini, praticamente invitato da Moro, prende subito l’occasione per rinverdire tutto il fiume di ipotesi chomskiane, che hanno trovato per la verità in passato poche conferme empiriche da parte della ricerca psicolinguistica.
Ma torniamo al punto: imparare le lingue straniere sarebbe tutta una questione di istinto ed esisterebbe una zona del nostro cervello che presiede all’apprendimento delle lingue.
La seconda asserzione non mi sembra controversa. L’esistenza dell’area di Broca e le sue funzioni sono fatti accertati da tempo. Tutte le volte che si tratta di regole grammaticali quest’area entra in funzione. Se ne era accorto Broca già nell’Ottocento.
La prima ed il suo corollario ( Esistono delle regole universali del linguaggio e solo rispettando queste si attiva l’area cerebrale delle regole, si impara la lingua)
mi sembra invece discutibile.
Per cominciare, tutta la ricerca sugli universali linguistici ancora non ha portato a poche regole grammaticali di base, incontrovertibili e riscontrabili in tutte le lingue, a parte generalizzazioni veramente molto generali.
Alcune di queste "regole", citate da Moro e da Piattelli Palmarini, sembrano essere state citate proprio per essere contraddette. Ricordiamo solo il principio, secondo l’articolista attribuibile a Moro e citato tra virgolette, dell’esistenza di "un soggetto, un verbo, la concordanza degli articoli". Basta avere studiato una serie di lingue asiatiche e amerindiane per trovare la difficile distinzione tra soggetti e verbi. L’inesistenza della concordanza degli articoli si può trovare anche molto più vicino.
Piattelli Palmarini cita la regola "assurda", secondo la ricerca, della negazione al terzo posto. Ma non è altrettanto assurda la regola del verbo al secondo posto tendenzialmente usata in tedesco.
Il fatto che il sogno di Moro sia un nuovo esperanto, non più creato a tavolino, ma sorretto da una robusta intelaiatura scientifica e molto utile per Internet, la dice lunga sugli equivoci esistenti sull’esperanto.
L’esperanto è, sì, stato creato a tavolino, ma rispettando regole grammaticali comuni a molte lingue indoeuropee e non-indoeuropee. La riprova della "naturalità" dell’esperanto è il fatto che, durante un secolo, è diventato una lingua "naturalmente" appresa e parlata in tutto il mondo.
Si tratta di qualcosa di molto diverso dai linguaggi di programmazione, cui forse si pensa quando si allude a Internet.
È vero che l’esperanto, avendo regole facili e senza eccezioni, viene imparato rapidamente, molto più rapidamente di altre lingue naturali. Ciò, proprio per quello che dice questo esperimento, è possibile per il funzionamento senza intralci dell’area di Broca, in altre parole per il fatto che la capacità umana di mettere di metter in relazione fatti e trarne regole ed applicarle a nuovo materiale, viene esaltata da una lingua regolare come l’Esperanto.
Tutti coloro che hanno voluto interessarsi all’argomento e fare esperimenti, a partire dal pedagogista americano Thorndike all’inizio del secolo scorso,se ne sono accorti e ne hanno scritto.
Che poi l’abitudine a ragionare in fatto di lingue aumenti le capacità metalinguistiche di coloro che studiano l’esperanto e poi altre lingue, anche ciò è stato messo in evidenza, da ultimo dall’Università tedesca di Paderborn negli anni Settanta. Ma anche per questo non c’è da postulare alcun fatto innato.
Basta applicare la normale capacità dell’uomo a risolvere problemi.
R.C. - Roma - * Università La Sapienza