Ringraziamo il Prof. Marco Grosso, autore dell'articolo e moderatore di Cruscate (forum di discussione che approfondisce la conoscenza della lingua italiana e ne promuove la tutela e l'arricchimento).
L'articolo di Maria Luisa Altieri Biagi apparso sulla Nazione del 25 agosto 2006, Cultura & Società, pag. 31, offre uno spunto per approfondire la questione dell'itangliano. Come ben mette in rilievo l'illustre Accademica della Crusca, l'influsso d'una lingua sull'altra può essere fecondo, se non si traduce in becero scimmiottamento, come quando s'adottano termini inutili, detti tecnicamente «prestiti di lusso», cioè parole che hanno già un equivalente nostrano (vedi leader). Ma può anche rappresentare una debolezza di pensiero e di cultura se il forestierismo superfluo scalza dall'uso comune la parola italiana già deputata a esprimerne il significato, e se non si procede a un vaglio per sceverare l'indispensabile dal disutile.
Giustamente osserva la professoressa Altieri Biagi che non si possono eliminare certe parole, perché ormai provviste di derivati (stressare, stressante, stressato): concordo. Ma se non bisogna esagerare nella caccia ai forestierismi, non si deve neanche accondiscendere allo snaturamento morfologico e fonetico della nostra lingua. Certe parole straniere intraducibili vanno adattate, come si fa da secoli e come s'è smesso di fare solo in tempi recentissimi. Stress italiano non sarà mai; ma stresse sí. Perché? Perché per essere italiana, una parola deve per forza (eccezion fatta per certi nomi propri, sigle, onomatopee, articoli e preposizioni) terminare in vocale. E come s'aggiungono suffissi verbali, aggettivali e avverbiali alla radice straniera, cosí andrebbe fatto anche per i sostantivi: non spot ma spotto, non film ma filme, non sport, ma sporte, come lucidissimamente consigliava il grande Arrigo Castellani, anch'egli Accademico della Crusca. In Ispagna si fa cosí: fútbol (football), estándar(standard), bumerán (boomerang), estrés (stress), hercio (hertz), deporte (sport), ecc.
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