Arnold Zable è uno scrittore australiano, ma anche uno degli ultimi locutori di yiddish. Lo parla con i suoi amici nelle serate di lettura che organizza a Melbourne dove vive e dove si occupa di problemi dell’emigrazione. Quando gli chiedo se lo yiddish sopravviverà sorride, con la sua faccia mezza greca e mezza zingara: “Sicuro!” Lo credevo una lingua morta, nessuno ormai parla più lo yiddish, ma Arnold mi spiega che sono proprio quelli più lontani dalla sua visione dell’ebraismo che lo stanno inconsapevolmente sostenendo. “Lo yiddish è diventato la lingua degli ebrei ortodossi per i quali l’ebraico è una lingua sacra, riservata alla liturgia e quindi inadatta al parlare quotidiano.” Così succede che proprio gli ebrei più chiusi e ostili alla mescolanza fanno vivere la lingua impura della vecchia diaspora. “La lingua dei cosmopoliti!” precisa Arnold e aggiunge, ancora ridendo: “Ruthless cosmopolitans!”
Di origini ebraico-polacche, Arnold coltiva una memoria che deve essere genetica se sopravvive così lontano dalle terre dei suoi padri: quella della fuga. “Ma cosa si dice meglio in yiddish che l’ebraico non può dire?” gli chiedo. “Gli insulti!” risponde lui. “Quando nulla e nessuno ti difendono dal sopruso, è l’unica arma che ti rimane”. “Che al tuo verme solitario venga la diarrea!” mi insegna Arnold ed io segno sul taccuino dubbioso di poterlo rivolgere mai a qualcuno. “In yiddish noi siamo luftmensch, uomini sospesi a mezz’aria, che non appartengono a nessun luogo”, continua a spiegarmi. Sarà per questo che appena vede arrivare Lionel Fogarty lungo il molo, Arnold lo accoglie con una pacca sulle spalle. Loro si intendono bene, perché anche Lionel è un luftmensch. Fatto di tutt’altra aria ma ugualmente in fuga, Lionel è un poeta aborigeno australiano. Cresciuto in una riserva del Queensland e fin da giovane attivista della causa aborigena, Lionel ha vissuto sulla sua pelle la durezza della discriminazione razziale. Suo fratello è morto in prigione, picchiato dalla polizia. Questa sera ride e scherza, ma Lionel è un uomo arrabbiato. Come tutta la sua gente che ancora oggi vive ai margini della società australiana.
Anche se da alcuni anni il movimento “Journey to recognition” ha messo in moto un processo di recupero della cultura aborigena che sta portando a una vera e propria ricostruzione identitaria dell’ex colonia britannica. L’Australia comincia ad avere il coraggio di stare in piedi da sola e riconosce che è fatta anche dei suoi aborigeni, malgrado siano ormai solo l’1% della popolazione. Ma in un continente grande quanto l’Europa non c’è mai stata un’unica identità aborigena. Le nazioni aborigene sono centinaia e parlano lingue diverse, molte delle quali oggi ridotte a poche, scarne di parole. Così gli aborigeni non hanno nessuna vera patria, sono anche loro luftmensch senza neppure una lingua in cui rifugiarsi ma tanti mozziconi di una cosa perduta che Lionel tenta invano di tenere insieme con la sua poesia.