31/12/05 Corsera

IL DIBATTITO

De Mauro: «Difficile renderlo colloquiale»

Il dibattito sull'esperanto è sempre aperto: si va di chi è possibilista con alcune riserve, come lo storico della lingua Tullio De Mauro, a chi è più scettico e lo vede come un sogno ormai tramontato, come lo scrittore Diego Marani, capo del servizo linguistico dell'Eu a Bruxelles, scrittore finalista al Campiello e che ha appena pubblicato «Come ho imparato le lingue» (Bompiani), oltre a essére l'inventore di un'altra lingua artificiale, l'Europanto.

«Non ho mai condiviso le critiche aspre di Gramsci e Croce all'esperanto, perché esiste comunque il problema dell'uso della lingua negli scambi internazionali non solo nell'Europa -spiega De Mauro - E se il globish, ovvero l'inglese base globalizzato, riesce a far comunicare anche un portoricano e un coreano in un breve incontro in aeroporto, bisogna dire che l'esperanto è una lingua ben più ricca con i suoi 1.500 vocaboli. Il limite è che si tratta di una lingua artificiale, buona per uso commerciale o per normative giuridiche, quindi non di uso colloquiale, che se venisse usata in famiglia e insegnata ai bambini subirebbe inevitabilmente modifiche e nascita di varianti locali, come è stato anche dimostrato».

Marani è più drastico: «L'esperanto ha perso il suo momento storico e da idea rivoluzionaria è divenuta idea settaria. Gli Esperantisti mi sembrano oggi come i Testimoni di Geova. Anche molti politici europei la apprezzano in astratto, ma la giudicano impraticabile nella realtà. È una bella utopia, ma il mondo viene mosso con più forza da ragioni di interesse e utilità (che non sono da guardar sempre male, se, per esempio, anche l'Eu ha avuto in queste le sue origini). E allora ormai chi cerca lavoro deve studiare e sapere l'inglese, se vuole trovarlo. Dovrebbe essere reso possibile a tutti studiarlo bene e, in più, io ritengo sia un dovere etico per chi è cittadino dell'Europa studiare anche un'altra lingua, scelta tra quella e dei paesi aderenti. Una lingua viva, con dietro sudori e umori, la vita di un popolo, non l'asettico esperanto». Quanto al suo tanto citato europanto, racconta che «si tratta di un gioco e una provocazione per far capire che le lingue può impararle chiunque e non devono far paura. L'europanto serve a dimostrare che in fondo si assomigliano tutte un po'. E poi non è una lingua, non sta in piedi, ma nonostante questo può servire per comunicare un minimo: in fondo è simile alla lingua che da sempre usano i bagnini romagnoli per rimorchiare ragazze di tutti i paesi».

P. Petr.

Corsera 31/12/05