Nicolas Chauvin non demorde in Francia
La sofferenza per la perdita di prestigio della lingua francese
di Giorgio Bronzetti
Sempre vivo lo spirito del valoroso soldato di Napoleone, divenuto il simbolo del patriota passionale e intransigente, anche in occasione del referendum sul trattato costituzionale europeo. Non piace ai francesi perdere parte della propria sovranità per trasferirla a Bruxelles, non piace l’atlantismo, non piacciono i contadini polacchi e tantomeno gli ottomani, possibili nuovi membri UE. Non piace sicuramente anche che il francese non sia la prima lingua d’Europa, che debba cedere sempre piú il passo all’angloamericano.
Il sogno di tanti francesi resta quello di Napoleone Bonaparte: un’Europa francese o niente, altrimenti non si spiegherebbe come il referendum per il Trattato di Maastricht sull’Unione Economica e Monetaria sia passato solo per pochi voti e l’Assemblea nazionale francese abbia bocciato nel ‘54 la Comunità Europea di Difesa.
Lo stesso atteggiamento di Chirac nei confronti dell’intervento americano in Iraq non sembra esser stato dettato da sentimenti pacifisti, con la Francia tappezzata di bandiere della pace come in Italia, ma dal vivo desiderio di Parigi di contestare il predominio del mondo angloamericano.
Le numerose associazioni di difesa del francese, tra cui Défense de la Langue Française, Association Francophone Avenir, Imperatif Français, Défendre le Français, La Voix Brisée per citarne qualcuna, fanno un ottimo lavoro ma non creano simpatie verso le istituzioni europee sempre piú anglofile. E, viste dall’esterno della Francia, hanno carattere piú di attacco che di difesa e agiscono non tanto perché spinte dal principio del diritto di ogni popolo all’uso e alla conservazione del proprio patrimonio linguistico, ma come addette alla promozione della francofonia nel mondo. Non si invocano i diritti linguistici ma la grandeur che non c’è piú , il prestigio che vacilla sempre piú e, quindi, si usano toni estremamente aspri usando la penna come una clava agitata da un Polifemo ferito. Charles Durand, dell’università di Belfort, denuncia in “La mise en place des monopoles du savoir” il monopolio del sapere tecnico-scientifico del mondo moderno detenuto dagli angloamericani «in gran parte conseguenza diretta dell’adozione della lingua inglese come lingua internazionale nella scienza e nella tecnica, che moltiplica dunque la visibilità del mondo anglosassone in questi settori, a detrimento di quella di altri» e dichiara in un altro suo scritto, “L’inglese un nuovo esperanto?” (http://www.allarmelingua.it/approfondimenti/ap%2036.htm): «L’inglese serve esclusivamente gli interessi americani all’estero. La propaganda americana lavora riprogrammando le menti della gente attraverso l’apprendimento dell’inglese come seconda lingua. Paghi per farti fare il lavaggio del cervello e sei felice». E per chi studia l’inglese nei paesi in via di sviluppo «l’inglese priva rapidamente la gente del diritto di pensare a se stessa per proprio conto. La conseguenza è l’alienazione e l’espropriazione culturali». Durand supera se stesso affermando: «L’inglese serve alla colonizzazione mondiale sotto l’egida americana per continuare a saccheggiare le risorse mondiali», arrivando a dire che «la migliore prestazione dell’esercito degli Stati Uniti è quella del bombardamento di civili dall’altezza di 30 mila piedi». Figuriamoci se i francesi possano vedere di buon occhio un’Europa legata alla Nato! [Menomale!. NDR] Non che i francesi siano tutti contro o che la situazione non possa essere migliorata -la Francia è pur sempre uno dei paesi che hanno promosso l’Unione Europea-, ma attualmente i risultati del referendum sono davanti a tutti. [Ma la maggior parte dei NO era stata espressa da europeisti scontenti del liberismo selvaggio cui questa Costituzione lascia mano libera! NDR]
Eppure il governo francese ha perso una grande occasione per favorire lo sviluppo di una democrazia linguistica quando ha impedito che la Società delle Nazioni (le Nazioni Unite di allora) si pronunciasse a favore dell’introduzione nelle scuole, e quindi successivamente nei rapporti internazionali, dell’esperanto, di una lingua cioè neutrale, non distruttiva di culture, come purtroppo –e in questo l’allarme francese è nel giusto- è l’angloamericano.
Si era negli anni 20, dopo la terribile guerra mondiale, con un grande bisogno di concordia che portò alla costituzione della Società delle Nazioni per favorire le buone relazioni tra i popoli e mantenere quindi la pace. Molti allora pensavano che le difficoltà linguistiche fossero un serio ostacolo per l’ottenimento di tali fini e vedevano nell’esperanto uno strumento semplice e pratico per agevolare la comunicazione e, cosí, l’intercomprensione. Venne, quindi, il 9 dicembre 1920, presentato un progetto di risoluzione favorevole alla diffusione dell’esperanto, che trovò immediatamente la forte opposizione della Francia che vedeva nella proposta una minaccia verso la propria lingua. Tanto che l’allora ministro dell’istruzione Léon Bérard vietò che si svolgessero corsi di esperanto entro gli edifici scolastici di tutta la Francia, precorrendo, cosí, sia Stalin che Hitler.
Nel corso dell’assemblea generale del 1920 il delegato francese Gabriel Hanotaux ebbe a dichiarare: «La lingua internazionale già esiste: il francese che viene universalmente insegnato dovunque nel mondo del pensiero».
Giorgio Bronzetti