22/01/07 La Stampa

Per salvare le lingue usiamo l´esperanto

Io parto dal presupposto che ogni lingua, ufficiale o dia­lettale, sia un immenso baga­glio di cultura umana. Lingue e dialetti non sono pure conven­zioni. Il fatto che un dato con­cetto, concreto o astratto, in un dato paese si esprima con un certo termine e un certo suono, evidenzia un certo mo­do di percepire e affrontare le cose. Trovo giusto che ogni po­polo metta a confronto la pro­pria cultura con le altre, nel re­ciproco rispetto e, chiaramen­te, non sono contrario allo stu­dio delle lingue straniere.

Alcuni media riempiono l´italiano con parole straniere (anche quando i termini equi­valenti già esistono); e così danneggiano la nostra lingua nelle proprie sonorità e carat­teristiche. Questa mi sembra sudditanza culturale. Perden­do una lingua o un dialetto, si perderebbe anche la possibili­tà di scrivere certi romanzi, canzoni, poesie; i quali infatti, se tradotti, perdono già parte del proprio valore artistico. Re­centemente, in appositi siti In­ternet si è parlato del cinquan­tenario del Trattato di Roma, in tedesco, inglese, francese e spagnolo. I commissari euro­pei italiani si sono lamentati del fatto che non ci fosse una traduzione in italiano. Ma io ri­tengo che, nei rapporti fra po­poli linguisticamente diversi, sarebbe opportuno usare l´esperanto; una lingua neutra, che metterebbe i rappresen­tanti dei vari paesi a parità di mezzi di espressione diplomati­ca, senza privilegiare qualche madrelingua.

ROBERTO BETTERO

La Stampa Lettere 22/01/07