L'inglese? Comprensibile per legge
di Carlo Sarandrea*
Hai voglia a promuovere il plurilinguismo per l'Europa che verrà. Sembra che ormai una specie di arrendevolezza alla predominanza della lingua inglese abbia conquistato le istituzioni europee, dopo aver invaso altri settori. Nessuno a Strasburgo ammetterà mai che si voglia imporre l'inglese come lingua ufficiale dell'Unione, ma sembra che a questo si voglia arrivare con tanti piccoli eventi e decisioni, a cui devono sottostare i paesi membri.
L'ultimo caso è un decreto legislativo in corso di emanazione (di recepimento di varie direttive europee) per disciplinare la libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea. L'articolo 20, comma 7 di questo decreto legislativo prevede che l’eventuale provvedimento di allontanamento di una persona dal territorio sia “tradotto in una lingua comprensibile al destinatario, ovvero in inglese”. In parole povere, grazie ad un "ovvero", diventerà obbligatorio conoscere l’inglese, tenuto conto che la traduzione in inglese non rappresenta un’ipotesi residuale (da attivare solo nel caso che non sia possibile tradurre il testo del provvedimento in una lingua comprensibile al destinatario), ma ben può costituire l’ipotesi ordinaria.
Infatti, il termine "ovvero" ha entrambi i significati, esplicativo (= cioè) ed avversativo (= oppure, in alternativa). Non è neppure indispensabile capire questo "ovvero" in uno o nell'altro significato: in entrambe le ipotesi il legislatore darà per scontato che chiunque capisca l'inglese:
a) in una lingua comprensibile al destinatario, cioé in inglese;
b) in una lingua comprensibile al destinatario, oppure in inglese (sottinteso: tanto, lo capiscono tutti). E dato che non è detto che il destinatario abbia il diritto di pretendere una versione in una lingua a lui comprensibile (o perfino, in una lingua di grande rilevanza diversa dall'inglese), è di fatto lasciato all'arbitrio dell'operatore di scegliere la lingua inglese (e possiamo star sicuri che i moduli verranno predisposti soltanto in inglese).
Il tutto, con buona pace del diritto di agire in giudizio e del diritto di difesa, garantiti solennemente a tutti (non solo ai cittadini) dall’art. 24 della Costituzione: "Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento".
È ovvio, infatti, che presupposto fondamentale per agire efficacemente in giudizio e difendersi adeguatamente è la piena comprensione del contenuto (ed in particolare, delle motivazioni) del provvedimento di allontanamento.
È poi da sottolineare che (ove il decreto legislativo recepisca pedissequamente le direttive europee) quanto segnalato non riguarda soltanto i cittadini di altri Paesi che intendano soggiornare in Italia; infatti, un provvedimento di allontanamento potrebbe colpire anche un cittadino italiano che intenda soggiornare in altro Stato dell’Unione; anche in quel caso, sarebbe sufficiente ed idonea la versione in inglese.
In altri tempi il legislatore si era dimostrato più sensibile alla tematica linguistica (e, di riflesso, a certi diritti). Nel 2004 un dPR (il 303) fissò che: "le comunicazioni al richiedente asilo concernenti il procedimento per il riconoscimento dello status di rifugiato sono rese in lingua a lui comprensibile o, se ciò non è possibile, in lingua inglese, francese, spagnola o araba, secondo la preferenza indicata dall'interessato".
Oggi, invece, devi studiare l'inglese. E se non lo studi, non c'è problema: la legge ti dice che lo capirai benissimo lo stesso. È il "miracolo di pentecoste" realizzato con decreto legislativo.
* Collaboratore di “Allarme Lingua.”
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