10/10/06 Ultima Thule


Claude Piron, esperto di comunicazione internazionale
Data: Martedì, 10 ottobre @ 15:50:56 CEST
Argomento: Cultura



Riceviamo e pubblichiamo questa interessante intervista a Claude Piron, autore di numerosi saggi di inter­linguistica, professore alla Facoltà di Psicologia e di Pedagogia dell'Università di Ginevra, per molti anni traduttore dall'inglese, cinese, spagnolo e russo presso l'Oms e l'Onu è attualmente uno dei mag­giori esperti di comuni­cazione internazionale.

"Il 95% dell'umanità accetta con rassegnazione la posizione linguisticamente subalterna al restante 5% costituto dagli anglofoni.
E' umiliante assistere al degrado della propria lingua. E non è una questione di strenua difesa dei valori nazionali, ma semplicemente di buon gusto.
Le obiezioni che si muovono all'esperanto, in quanto lingua pianificata, o per asserita mancanza di cultura, non hanno davvero alcun senso".



I problemi di comuni­cazione, nonostante questa sia uno dei fenomeni più studiati negli ultimi anni, non smettono di "affliggere" la vita quotidiana di chi, come l'uomo, per vivere ha bisogno di parlare.

Professor Piron, cosa ne pensa come psicologo dell'attuale ordine linguistico mondiale?
Che esso riflette caratteri negativi della società umana, come il suo masochismo, la sua tendenza ad agire in modo non razionale, la forza della sua inerzia ed il rifiuto a porsi di fronte alla realtà.

Perché parla di masochismo?
La nostra società ha scelto per comunicare una delle lingue meno adatte all'uso internazionale: l'inglese, lingua ostica agli stessi nativi dei paesi anglosassoni. Una vera scelta non c'è stata a dire il vero perché si sta andando avanti a forza di inerzia.
Il 95% dell'umanità accetta con rassegnazione la posizione linguisticamente subalterna al restante 5% costituto dagli anglofoni dalla nascita che trovano normale che tutti gli altri si assumano il compito di faticare per poter render possibile la comunicazione. Faticare assistendo al degrado sempre più accentuato della propria lingua.

Parla lei che è di lingua francese e non sa che in Italia c'è la legge della “privacy” e il ministero del “welfare” e i parlamentari chiamano il momento delle interrogazioni "question time".
E' veramente umiliante che proprio dalla classe politica venga questa spinta al degrado della lingua.
Qui non si tratta poi di richiamarsi ai valori nazionali ma semplicemente al buongusto. Ma ormai regna un pò dovunque l'inerzia e non si fanno sforzi per capire qual è la realtà.

Ma la realtà è l'inglese dominante, realtà è che, ciò che la stampa chiama “The great English”, divide il divario tra “chi lo sa” e i nuovi barbaros che si dannano per passare dall'altra parte. In che senso dice che la società non vuole guardare in faccia la realtà ?
La gente dice: c'è l'inglese, ci si capisce. Non è vero. Il sistema attuale crea molte vittime. Non c'è nessuna compassione per un lavoratore straniero trattato male dalla polizia, perché non riesce a farsi capire; il capo di una media impresa, che perde un contratto con una ditta straniera, perché la sua conoscenza dell'inglese non è adatta per trattative delicate; un turista con un terribile dolore al ventre, che non sa spiegare i suoi sintomi ecc. La società invece di vedere questi individui come vittime, li vede come colpevoli perché non riescono a farsi capire. Come se fosse così facile per tutti! Ci sono milioni e milioni di giovani di tutto il mondo che per anni sforzano la loro mente faticando per conquistare 1'inglese senza riuscirci. Che spreco di energia nervosa e mentale con così pochi risultati! E' ancora più assurdo, poiché i fattori che rendono l'inglese così difficile, non hanno nessuna relazione con la necessità di comunicazione, ma sono solo capricci degli antenati degli attuali inglesi.
Il presidente della Nissan, Carlo Ghosn, una volta ha detto: "l’inglese è solo uno strumento per computer, un software". Bene! La lingua per molti aspetti è paragonabile ad un programma di computer. Ma quale persona ragionevole, che ha la possibilità di scegliere tra un programma che non ha ancora imparato completamente dopo sette anni, ed un altro programma in cui si sente a suo agio dopo un anno (a parità di ore di studio settimanali) sceglie il primo, se oltretutto la pratica gli insegna che quello imparato più in fretta funziona anche meglio? Questa è la situazione se si confronta l'inglese con l'esperanto. Ecco la irrazionalità della scelta.

Non le sembra comunque che la gente sia piuttosto facilona quando parla di lingue?
Certo, un'altra cosa che la società si rifiuta di guardare realisticamente è la difficoltà delle lingue. "Impara 1'inglese in tre mesi", "Il russo in 90 lezioni", "Il francese senza fatica". Messaggi ingannevoli. In Europa, mediamente, dopo sei anni di studio solo un giovane su cento è capace di usare correttamente la lingua studiata. In Asia la proporzione è 1:1000, ma nessun ministro della pubblica istruzione ha il coraggio di affermare che le nostre lingue sono troppo difficili da imparare completamente nei corsi scolastici.

Allora lei è contrario allo studio delle lingue a scuola?
Nient' affatto. Sono contro all'illusione che l’inglese risolva il problema della lingua nel mondo e che esso, come mezzo di comunicazione, si possa imparare a scuola. Propongo che si raccomandi ai cittadini di imparare l'esperanto, perché possano relativamente in fretta disporre di un metodo piacevole per comprendersi con i parlanti di altre lingue e che nelle scuole si studino le lingue non come strumenti di comunicazione, ma come arricchimento culturale, come strada per comprendere altri popoli. E' assurdo che nel mondo ora il 90% degli studenti delle scuole superiori spenda tante energie per imparare l’inglese ed ignori tutte le altre culture cui si possono accostare attraverso corsi di lingue. E ancora più assurdo perché, dopo questa fatica, la maggioranza non è in condizioni di comunicare realmente e paritariamente su scala mondiale.

Se lei ha ragione, perché pochi la pensano come lei?
Perché molti fattori emozionali, nella parte inconscia della psiche, confondono il problema e creano timori irrazionali. La lingua è legata nella mente al sentimento di identità. Gli uomini non vedono che con una lingua che non appartiene ad alcun popolo, come l'esperanto, proteggono meglio la propria identità che con una lingua, come l'inglese, che porta con sé, in modo sottile, invisibile, tutto un modo di pensare, di richiami della mente, di miti che non concordano con i modi di pensare tradizionali del continente europeo o asiatico.

Secondo lei c'è la possibilità che tale situazione possa cambiare?
Forse la situazione dell' Ue allargata ai nuovi membri e quindi con nuove lingue, imporrà un esame approfondito del problema, ma forse mancherà il coraggio di porsi le domande fondamentali.
Purtroppo gli uomini sono molto conservatori. Cambiare l'ordine (o meglio il disordine) linguistico attuale richiede un cambiamento del modo di pensare, e questo cambiamento è un atto “psicologicamente costoso" come ha detto Janet.
D'accordo per l'esperanto nelle scuole, che comunque può essere utile per il suo valore propedeutico anche per l'apprendimento di altre lingue, ma nelle istituzioni dell'Ue non si tratta di parlare di amicizia ma di situazioni più complicate, economiche, giuridiche e tecniche.
Le obiezioni che si muovono all'esperanto, in quanto lingua pianificata, o per asserita mancanza di cultura, non hanno alcun senso per chi conosce il problema, ma le carenze terminologiche non possono essere un serio impedimento di fronte alla complessità delle materie comunitarie, alla luce della sua conoscenza della comunicazione in organizzazioni internazionali? Di questo problema di natura pratica nessuno ne parla, limitandosi la maggior parte delle volte ai soliti luoghi comuni. Certo che esiste il problema e non è di poco conto, ma è risolvibile attraverso le tecniche di pianificazione linguistica che vengono adottate anche con lingue nazionali come l'estone e che hanno portato l'ebraico, che aveva solo 5000 parole, ad essere una lingua moderna.
Il problema è sensibilizzare l'opinione pubblica, e quindi i politici, ad un maggiore rispetto verso la propria lingua e una maggiore attenzione verso il problema linguistico inter­nazionale, diffondendo il concetto di democrazia linguistica e, soprattutto nel mondo anglosassone, una cultura nuova del capire e farsi capire. Spero vi siano sempre più persone con­sapevoli dei valori culturali da difendere e reagiscano prima che questi siano compromessi per sempre. Continuare comunque ad alto livello a rifiutare l'esperanto senza neanche aprirne il dossier sembra ormai troppo assurdo per essere accettato.

Giorgio Bronzetti
Coordinatore dell'associ­azione Allarme Lingua

Abruzzo Oggi, 1/9/06 pag. 16





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