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La settimana della lingua italiana
L'avvicinarsi della settimana nella quale si celebra la «lingua e cultura italiana» mi impone, cari studenti, una riflessione sull'importanza e validità di una lingua.
gian paolo ceprini
San Gallo - Ricordo che alla mia prima lezione di italiano, quando iniziai il liceo, il mio Professore ci portò in biblioteca e ci fece vedere il Dizionario della lingua italiana di Tommaseo e Bellini, il più importante documento lessicografico nel processo risorgimentale di unificazione dell'Italia, nato nel 1857 per iniziativa dell'editore torinese Luigi Pomba che era recensito da Giosuè Carducci. Allora non seppi capire quale messaggio egli ci volesse dare, poi, con il passare degli anni ne compresi l'importanza. I sistemi linguistici che gli esseri umani sono riusciti a creare sono molto numerosi e per lo più legati alle rispettive aree geografiche.
La forza della lingua
Potenzialmente, sono tutti ugualmente capaci di esprimere le realtà che con essi si vogliono esprimere. Tuttavia la ricchezza lessicale e grammaticale della nostra lingua è e rimane tra le più importanti del mondo. Certo, però, l'uso (e il non uso), che di una certa lingua fa una comunità, ne determina spesso i limiti effettivi ed attuali. Se infatti avviene che voi giovani (ma anche e soprattutto gli adulti) non usate più molti termini tradizionali della lingua, o perché li sostituite con parole passe-par-tout (come «coso», «aggeggio», «cioè»,), o perché li surrogate con parole inglesi, tanto pappagallescamente riprese, quanto mal digerite (input, trend, link, set, kit, item, transfert, script, batch, boot, key-word, password, audience, authority, background, mass media,), ne consegue di fatto un impoverimento del nostro vocabolario individuale e non certo un «arricchimento», come taluni vorrebbero sostenere.
L'italiano ha sostituito i dialetti
Basta del resto andare alla riscoperta di un libro tecnico degli anni 60 confrontandone il sistema lessicale con quello di analoga materia che potrete trovare oggi in una libreria. La sua terminologia si alterna con una forte presenza di parole inglesi tanto che una scarsa conoscenza di quest'ultima lingua complica totalmente la comprensione del testo da parte del lettore. Si tratta dunque d'impoverimento della lingua, oppure come molti sostengono - e finiscono per crederci- è l'effetto dell'internazionalizzazione della nostra vita quotidiana dovuto all'intersecarsi di culture e presenze provenienti da diversi paesi? Nel 1961 Pier Paolo Pasolini, nel saggio Nuove questioni linguistiche, prospettava l'avvento di una nuova lingua italiana imposta dalla tecnologia, dall'aziendalismo, dai mezzi di comunicazione di massa, dalla politica: la «lingua nazionale» che avrebbe sostituito i dialetti regionali.
Quarant'anni di Radio Televisione Italiana, onnipresente nelle case degli italiani, hanno ottenuto ciò che Pasolini anticipava: la quasi estinzione dei dialetti e l'avvento di un idioma, comune «al 94 per cento degli italiani» che sta sostituendo con sempre maggiore prepotenza la nostra bella e ricca lingua italiana. Bello? Colto? E il patrimonio culturale dei dialetti? Le opinioni sono moltissime, e non basterebbero certo queste poche righe a risolvere questa vexata quaestio.
L'italiano lingua nazionale svizzera
Il fatto è che una nuova insidia sembra minacciare oggi l'Italiano «lingua comune», a difesa del quale non bastano le iniziative come quella che stiamo per varare della settimana della «lingua e cultura italiana nel mondo». Una settimana densa di avvenimenti culturali in ogni angolo della Svizzera, un Paese che nel preambolo della Costituzione Federale all'art. 4 afferma che «le lingue nazionali sono il tedesco, il francese, l'italiano ed il romancio». Oggi il teorema del trilinguismo vacilla e rischia di rimanere solo sulla frase del preambolo costituzionale piegandosi all'avanzare dell'anglofonia. Tempo addietro, lessi con molto interesse un'intelligente provocazione di Marcello Veneziani che, sul Corriere della sera, annotava come sia giunto il tempo di «bonificare la lingua italiana da inutili e spesso cacofoniche colonizzazioni; il vero provincialismo è quello di chi si sente provinciale in un impero linguistico e desidera la lingua altrui , imitandola goffamente».
Bonifica che secondo lui dovrebbe avvenire risciacquando veramente i nostri panni in Arno liberandoli dalle sempre più frequenti contaminazioni anglofobe: Incominci la RAI a dare il buon esempio, Rai educational, Rai fiction, Rai new, Rai international, rai trade, Rai way e via di questo passo. Persino il Governo, non è scevro da colpe «disperso fra devolution, welfare e similia». A volte c'è un alibi plausibile, la difficoltà di tradurre il linguaggio della tecnologia in italiano, l'esigenza di risultare appetibili all'estero, l'internazionalizzazione del linguaggio. Ma in casi come quelli elencati (perché non Rai notizie, rai educazione, rai storie, rai mondo) l'impressione è che nello sforzo di apparire trendy si finisca per fare inconsapevolmente ed alternativamente il verso a Renato Carosone: Tu vo' fa' l'americano.
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