LIBERTA' di venerdì 17 agosto 2007 > Cultura
Parla Aldo Grassini, presidente della Federazione esperantista italiana, mentre si moltiplicano convegni e cultori
Esperanto, la lingua artificiale ha 120 anni
L´idioma elaborato da Zamenhof è ancora guardato come un'utopia
di MARIA PIA FORTE
Non è solo una lingua: è qualcosa di più. Una dichiarazione di fiducia nell´umanità e nella fratellanza.
«Vede - dice Aldo Grassini, presidente della Fei, Federazione Esperantista Italiana, - i fondamenti ideali dell´esperanto sono il rispetto per tutte le culture, la curiosità verso gli altri, il desiderio di confrontarsi, capire, superare le barriere fra i popoli, ideologiche, etniche o religiose. Il mondo degli esperantisti, organizzato in numerosissime associazioni, è un microcosmo in cui si può sperimentare che non è vero che gli uomini si odiano; anzi, aspirano a stare insieme, stringere amicizia».
In effetti è un'incessante spinta all´aggregazione quella che emerge dal calendario di convegni, incontri, settimane giovanili, campeggi, festival organizzati in questa estate per gli amanti dell´esperanto in ogni angolo del pianeta. In uno spirito di solidarietà che non è solo teorico, dato che centinaia di persone di buona volontà assicurano ospitalità ai viaggiatori, assistiti anche da agenzie di viaggio esperantiste e dal Pasporta Servo, "Servizio Passaporto".
Il dinamismo sembra non difettare ai cultori di questa lingua artificiale dalla valigia sempre pronta: in questi giorni, per esempio, molti di loro passano direttamente da Hanoi, teatro del 63° Congresso giovanile internazionale, a Yokohama, in Giappone, dove in questi giorni si svolge il 92° Universala Kongreso de Esperanto, l´annuale congresso mondiale (che l´anno scorso si tenne a Firenze, terzo organizzato in Italia dal 1905, dopo quelli del 1935 a Roma e del '55 a Bologna).
Compie 120 anni la lingua internazionale ausiliaria messa a punto, modellandola sulle lingue romanze, germaniche e slave, da Lejzer Ludovik Zamenhof: fu nel luglio del 1887, infatti, che questo oculista polacco di lingua russa, nato nel 1859 e morto nel 1917, pubblicò a Varsavia il suo manuale, firmandolo con lo pseudonimo di "Doktoro Esperanto", ossia Dottore Speranzoso. E la speranza sembra essere davvero la molla vitale di questo idioma che gli scettici considerano un'utopia. Il suo creatore lo elaborò fin da ragazzo, sembra nella speranza che una lingua comune servisse a pacificare gli animi degli abitanti polacchi, russi, ebrei e tedeschi della sua città, Byalistok, che dai rispettivi quartieri si guardavano in cagnesco.
Di speranza si nutrono ancora oggi coloro che lo imparano: speranza non solo di una maggiore facilità di comunicazione fra i popoli, ma di un mondo migliore, reso tale proprio dall´aumentata possibilità di capirsi.
«Ogni lingua naturale - dice il professor Grassini, - in quanto espressione di una cultura, può alimentare distinzioni e contrapposizioni. Pensi a valloni e fiamminghi, o all´ex Jugoslavia, dove fino a ieri tutti parlavano il serbo-croato, mentre ora le varie etnie ostentano e rafforzano le reciproche differenze linguistiche. L´esperanto, invece, non impone un sistema di valori, è neutrale. Perciò la sua conoscenza potrebbe concorrere a sanare gli attriti fra i popoli».
La sua adozione come lingua franca non dovrebbe avvenire, però, a scapito degli idiomi nazionali.
«No davvero. Noi, anzi, ci battiamo perché ogni lingua sia tutelata, mentre non si fa niente per fermare il progressivo impoverimento linguistico del mondo, soprattutto sotto l´incalzare dell´inglese che attua una vera colonizzazione, minacciando il multilinguismo. Lo stesso italiano è sempre più infarcito di termini inglesi. Quanto all´Europa, chiediamo che sia rispettato lo statuto europeo, il quale afferma che ogni popolo ha diritto alla propria lingua e alla possibilità di parlarla, ossia riconosce la parità fra gli idiomi degli Stati membri. Ma attualmente nell´Ue convivono almeno 25 lingue, mentre quelle di lavoro usate nelle istituzioni comunitarie sono solo inglese, francese e tedesco. Altro che parità... E c'è il rischio che le cose peggiorino. Noi difendiamo i diritti linguistici di ogni popolo. E auspichiamo che ogni persona sappia parlare più di due lingue, perché più se ne conoscono e più si ampliano i propri orizzonti. Siamo per il multilinguismo».
Ma se tutti parlassero più lingue, l´esperanto a cosa servirebbe?
«L´esperanto, il cui studio è molto facile, deve aggiungersi alle altre lingue come strumento di comunicazione alla portata di tutti, molto più di quanto non lo siano le lingue naturali, che sono quasi sempre difficilissime. Su questi temi è interessante leggere il saggio di Umberto Eco La ricerca della lingua perfetta nella cultura europea, pubblicato da Laterza».
Davvero l´esperanto è facile da imparare?
"«Sì, e per questo è veramente democratico. E' facile perché è stato creato a tavolino da un genio e semplificato al massimo. Inoltre non richiede, come ogni altra lingua, di entrare nella mentalità del popolo che la parla, ed è talmente flessibile che ognuno se lo può costruire secondo la propria mentalità».
Dove lo si può imparare?
«Ci sono corsi tenuti dalle associazioni locali o da qualche scuola. Ma lo si può studiare da soli. C'è un dizionario della Zanichelli e in Internet, in www.esperanto.it, si impartiscono corsi gratuiti. Con dieci lezioni si ha già una buona base. Il resto lo fa la pratica. Anche questa la si può fare in rete, o nei gruppi di conversazione di Sky. E poi ci sono gli incontri, i convegni».
L´esperanto prima o poi entrerà nel ventaglio di lingue straniere insegnate a scuola?
«In Italia c'è una proposta di legge in tal senso, ma è ferma lì. Il solo Paese dove questo già avvenga è l´Ungheria».
Insomma, l´esperanto è tutt'altro che morto, anche se per lunghi periodi scompare totalmente dalla scena.
«Scompare per colpa di voi giornalisti. Non si parla di noi perché siamo neutrali, apolitici. Oggi poi è schiacciato dalla preponderanza dell´inglese. In alcuni Paesi, però, in Brasile, Cina, Vietnam, Giappone, ha una grande vitalità».
Quanti siete a parlarlo nel mondo?
«Alcuni milioni. Ma come facciamo a contarci? Comincia anche ad esserci qualche migliaio di persone di madrelingua esperanto: figli di coppie di nazionalità diversa che in famiglia comunicano in questa lingua».
Esistono una letteratura e traduzioni di libri in esperanto?
«Abbiamo poeti e prosatori, e tutti i capolavori di tutte le letterature sono stati tradotti. Della Divina Commedia ci sono ben tre traduzioni. La più bella, limitata all´Inferno, è quella dell´ungherese Kalman Kalocsay, uno dei maggiori poeti in esperanto, che ha fatto un lavoro splendido per vivacità e aderenza allo spirito di Dante. Delle opere di letterature minori, addirittura, spesso è più facile trovare traduzioni in esperanto che in altre lingue».
Sono moltissime le lingue artificiali, alcune, come l´Ido, derivate da quella di Zamenhof. Cosa ne pensa?
«Ne sono state elaborate centinaia, ma l´unica ad essersi trasferita in una lingua parlata e ad essere sopravvissuta è l´esperanto».
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