L’indipendenza è  luogo di incontro di una grande moltitudine di idee, proposte, suggerimenti, e possiamo dire vi siano rappresentate tutte le sfaccettature del pensiero autonomista. Questo pregio può però diventare un limite, perché diventa difficile giungere ad una sintesi, mai mondo fu più geloso delle sue particolarità di quello autonomista, ancor più arduo intraprendere qualche iniziativa concreta. È possibile agire senza creare divisioni e fratture? Si, se si ha l’accortezza di partire dalle piccole cose, ipotizzando ed attuando azioni minime ma importantissime, sui cui non possiamo che essere tutti d’accordo, ma che spesso e volentieri ci dimentichiamo di attuare.

Parliamo ad esempio di tutela linguistica, un azione che tutti gli autonomisti propongo ed un tema sul quale potremmo litigare all’infinito, ci basterebbe solo iniziare a discutere su cosa sia una lingua e cosa un dialetto, peggio ancora se cercassimo di individuare tra le nostre màder lèngue quali di queste siano un dialetto e quali una lingua. Purtroppo anche tra gli indipendentisti in pochi sono informati sull’argomento, che fatica trovarne uno che si sia letto un manuale di linguistica, ciò nonostante tutti pretendono di sapere cosa sia un lingua e cosa un dialetto e come non bastasse su questo tema la propensione allo scontro è massima. Non parliamo poi delle grafie, gruppuscoli di poeti tristi difendono ad oltranza le loro scelte, così se a Milano usi la ö sei un traditore che scrive alla bergamasca e se a Bergamo usi la eo ti mettono al bando perché tendi a milanesizzare.

Perché farsi la guerra e scontrarsi all’infinito per queste piccolezze, perché incattivirsi per stabilire cosa sia lingua e cosa dialetto, mentre le nostre màder lèngue stanno morendo? Ogni giorno che passa se ne va qualche anziano che è ancora depositario degli antichi termini, dei modi di dire di un tempo e di tanti nomi che non figurano sulle carte, ma che spiegano, raccontano, descrivono la nostra terra. Mentre gli anziani ci lasciano portando per sempre con sé il loro bagaglio di cultura, i giovani che li sostituiscono sono sempre meno e quei pochi che restano padroneggiano malamente la màder lèngua che piano piano, anche se sopravvive, si italianizza così ol marengù diventa ol falegnàm e ‘l bechér si trasforma nel macelér. Ogni giorno un pezzo della nostra cultura si spegne lentamente sotto i nostri occhi, mentre noi beghiamo su lingue e dialetti, è come se un uomo stesse annegando e noi restassimo sulla riva a discuter se è biondo o moro e intano quello beve: quanto vogliamo continuare così?

Leggi l'articolo di Francesco Ruggeri - lindipendenza.com