Il primo luglio di quest’anno la Croazia entrerà – ventottesima nazione – a far parte dell’Unione Europea, portando con sé, per quel che ci interessa in questa rubrica, la ventiquattresima lingua ufficiale dell’Unione. Fin qui tutto bene, anzi, no. Infatti, si è subito accesa la polemica su come debba essere definita questa lingua. Un profano direbbe “è semplice, in croazia si parla croato”; giusto? Fino a un certo punto. Anche secondo i croati, la loro lingua si chiama croato; ma i Serbi e i Montenegrini non sono dello stesso avviso.

NESSUN PROBLEMA PER I LINGUISTI: Partiamo dall’inizio. Dal punto di vista scientifico non esiste alcun dubbio: in quell’area si parla una lingua denominata “serbo-croato”, e su questo non ci piove. Quasi tutte le università che propongono corsi di studi in e su questa lingua/cultura, definiscono la facoltà “serbo-croato”. Ma esistono anche università con corsi separati, uno per il serbo e l’altro per il croato, come ad esempio a San Pietroburgo dove la diplomazia croata ha effettuato un’operazione di lobby efficace.

Dice bene l’accademico Ivan Klajn, che ritiene che “serbo-croato” sia la sola denominazione scientificamente valida. “Il termine serbo-croato è stato creato dal filologo tedesco Jacob Grimm nel 1824 e da allora è utilizzato dagli slavisti del mondo intero. Le lingue “bosniaco”, “bosgnacco” o “montenegrino” non hanno alcuna giustificazione scientifica, come non lo ha il fatto che ciascun popolo debba necessariamente avere il diritto a chiamare la lingua che parla servendosi del nome della propria nazionalità, idea che è facilmente confutabile ricordando che non esistono le lingue austriaco, belga, messicano, argentino, statunitense o brasiliano”. Parole sante, per un linguista, ma ben poco convincenti per un politico.

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