giugno Il Foglio Volante

Proposto alla Camera l'esperanto nella scuola




Su iniziativa dei deputati Emerenzio Barbieri, Ranieli e Mereu, il 10 marzo 2005 è stata presentata una Proposta di legge dal titolo "Disposizioni in materia di accesso allo studio e all'uso della lingua in­ternazionale esperanto" relativa all'introduzione della lingua internazionale nella scuola. Riportiamo i tre articoli della proposta di legge, preceduta dalla relazione (pressoché intera) con cui essa viene pre­sentata, e ci auguriamo che possa avere buon esito.



Onorevoli Colleghi! — Oggi, nel contesto di europeizzazione in cui stiamo vivendo, il proble­ma linguistico si fa sempre più sentire.

Da un po' di tempo si accendono e si susse­guono dibattiti sul problema delle lingue di lavo­ro negli organismi comunitari e, quantunque sembri che questo sia un problema esclusivo di Bruxelles, esso, al contrario, ci riguarda diretta mente.

In quei palazzi si va delineando un'Europa in cui la lingua di lavoro è quella di una nazione o di un gruppo di nazioni, lingue che vanno ap­prezzate per i loro valori storici e culturali ma che non dobbiamo e non possiamo accettare co­me superlingue, non avendo esse qualità e meriti culturali o espressivi superiori alle altre.

La lingua costituisce un completamento ne­cessario della personalità degli individui e dei popoli ed è determinante per farli sentire effetti­vamente partecipi di una comunità (vedi curdi, israeliani, rom e altri).

Rispettare la lingua significa rispettare i suoi parlanti, come è sancito dai trattati. Sappiamo che la conoscenza di una lingua da maggiore po­tere a chi la padroneggia meglio, ma dobbiamo evidenziare che l'apprendimento scolastico non mette mai il discente alla pari - per fluidità di linguaggio e capacità espressiva - con chi quella lingua l'ha appresa dalla nascita.

Alcune persone sono particolarmente dotate per l'apprendimento delle lingue, ma per la stra­grande maggioranza per arrivare a conoscere una lingua etnica alla stregua dei nativi, portandosi sullo stesso piano di competitivita, è necessario impegnare una buona fetta di quel capitale limi­tato che è la vita.

Tale lingua diventa quindi distruttiva, poiché per recuperare il capitale di tempo e di denaro in­vestito si tende inconsciamente a utilizzarla il più possibile, anche quando non necessario, sosti­tuendola alla materna.

Già oggi, alcune "superlingue" subdolamente imposte nella pratica ci colonizzano portando a una discriminazione di fatto tra i cittadini d'Eu­ropa e al parziale disinteresse per la propria cul­tura.

Non dimentichiamo che la lingua influenza anche il modo di pensare e quindi il modo di creare; ne deriva l'importanza che ha per la col­lettività la preservazione di tutte le lingue.

La lingua, del resto, non ha valenze solo cul­turali e sociali, ma anche importanti risvolti eco­nomici.

Siamo consci che il sistema multilinguistico adottato a Bruxelles è costosissimo e paralizzan­te. Infatti per rendere possibile i dibattiti diretti si fa ricorso ad alcune cosiddette "lingue di lavo­ro", a scapito dei parlanti delle altre lingue.

Quantunque l'Italia sia stata tra i fondatori dell'Unione europea, la sua lingua, per la legge dei numeri, data la sua scarsa presenza nel piano globale indipendentemente dalle sue qualità, ri­schia l'emarginazione. E noi italiani, con essa.

Basta dare un'occhiata alla modulistica che arriva da Bruxelles o vedere in quali lingue pos­sono essere presentate le richieste di brevetti o di finanziamenti europei. In particolare nei brevetti ricordiamo che è la sfumatura della parola che lo rende rivendicabile oppure no.

C'è poi l'ipocrisia della Commissione euro­pea che con firma del Capo Unità - Politica delle lingue - scrive che «si è scelto di non puntare su un'unica lingua comune, ma di promuovere il multilinguismo con l'apprendimento di almeno due delle lingue dei vicini oltre alla propria lin­gua materna». In questo modo si nega a parole ciò che viene fatto in pratica, altrimenti come po­trò mai io, italiano che ho imparato le lingue dei miei vicini francese, tedesco, sloveno e albanese

dialogare con uno spagnolo o con un inglese e dichiararmi cittadino appartenente alla stessa co­munità?

Dunque si lascia fare alla tendenza attuale, più o meno guidata di privilegiare l'uso di alcune lingue, sostenendo tale scelta con l'effettivo uso che di queste lingue si fa nei rapporti internazio­nali.

E innegabile che tale pratica di ufficializzazione camuffata come semplice lingua di lavoro, mantiene comunque l'effetto distruttivo sulle al­tre lingue europee ridotte al ruolo di dialetti.

E non si può non considerare l'immeritato vantaggio concesso a milioni di cittadini i quali ricevendo uno status di privilegio per nascita umilierebbero ogni altro popolo e porrebbero sin dalla nascita gli altri cittadini in stato di vassal­laggio.

Qualcuno dice che la lingua non si può im­porre e che i popoli hanno già scelto una lingua nazionale per l'uso internazionale. Ma vogliamo scherzare? La necessità non è mai scelta, e agli italiani non è stata data la possibilità di scelta perché non è stata data la conoscenza, su cui ba­sare tale scelta.

Una lingua nazionale è connaturata con il ca­rattere, la storia e le tradizioni di un popolo. Essa tende con il medesimo ad evolversi in forma au­tonoma e quindi a trasformarsi; risulta pertanto impensabile condizionarne l'evoluzione per assi­curare quella regolarità guidata nel tempo e nello spazio, che è essenziale per essere effettivamente internazionale.

Occorre domandarsi se questa è l'unica stra­da possibile o se ci sono altre soluzioni, forse mi­gliori.

C'è chi propone l'adozione, per la funzione di lingua ausiliaria internazionale, di una lingua classica "morta", ma come è possibile adattarla, alle esigenze espressive moderne senza snaturar­ne la struttura?

Allora dobbiamo rassegnarci?

Mentre è vero che non ci si può rassegnare a un ingiusto ruolo di inferiorità e che non possia­mo impegnarci in un perdente confronto di forze, possiamo, però, prendere in considerazione e ap­poggiare un'alternativa semplice, non impositiva, gradualmente intraducibile, consistente nell'ufficializzare l'equiparazione alle attuali lingue di lavoro di una vera lingua transnazionale, non etni­ca, economica e moderna, alla portata di tutti, che svolga una funzione riequilibratrice sulle lin­gue cosiddette "forti", restituendo alle lingue og­gi diventate di serie B o C la pari dignità cui han­no pieno diritto.

Cosi' si può difendere con successo, senza le­vate di scudi, la lingua italiana, oltre al multilinguismo solo sbandierato dell'Unione europea.

Riteniamo che solo in questo modo indiretto si possa difendere il patrimonio di lingua e di pensiero dei nostri padri: informando e introducendo da subito, dopo avere diffuso le informa­zioni necessarie, l'insegnamento libero di una lingua internazionale neutrale, senza contrappo­sizioni alla situazione presente.

La funzione riequilibratrice si avvierà auto­nomamente quando i cittadini saranno in grado di rendersi conto che la definizione di "lingua in­ternazionale" è oggi data erroneamente a delle lingue etniche nazionali impiegate in campo so­pranazionale.

Infatti se il principio del plurilinguismo è ga­ranzia della salvaguardia delle diversità culturali, affinchè sia concreto, ha bisogno di appoggiarsi su una lingua comune basata sulla reciprocità.

Se i cittadini sapranno che è possibile e più facile usare una vera lingua internazionale nei rapporti con l'estero, sceglieranno di studiare ol­tre a questa le lingue locali di personale interes­se.

Ciò permetterebbe di soddisfare anche la ne­cessità di coagulare individui e popoli a tutto campo, per farli sentire effettivamente partecipi a pari titolo della pacifica comunità che si cerca di creare, senza intaccare minimamente l'apprezza­mento individuale e il rispetto che ognuno deve a se stesso e agli altri.

Ovviamente la lingua internazionale deve es­sere, oltre che neutrale, anche razionale, cioè mo­derna, con difficoltà di apprendimento ridotte perché priva delle specificità di ogni lingua etni­ca.

Assenza di specificità che faciliterebbe l'ap­prendimento anche da parte di un pubblico di non alta scolarizzazione. Una lingua le cui carat­teristiche si adattino al meglio ai moderni mezzi multimediali di studio, permettendo cosf la sua rapida diffusione e che, principalmente, non sia distruttiva (glottofagica) del patrimonio linguisti­co esistente.

Una tale lingua, collaudata da più di cent'anni di uso in tutto il mondo, l'abbiamo individuata nella lingua pianificata chiamata esperanto. L'esperanto è una lingua ausiliare non coloniz­zante perché, richiedendo un modesto tempo di apprendimento, non stimola quell'inconscia ne­cessità di essere usata quando non serve, cioè fuori dai rapporti internazionali.

L'esperanto è l'unico idioma, tra le centinaia di progetti e tentativi di lingua internazionale, che sia diventato lingua viva, parlata da persone viventi in tutti i continenti, il che ha contribuito a creare anche una sua letteratura autonoma.

L'esperanto è l'unico progetto che abbia su­perato le difficoltà determinate da due guerre e da periodi di regimi nazionalistici, che hanno cercato di soffocarlo.

Claude Piron ha scritto: «[...] Il vantaggio dell'esperanto risiede principalmente nel fatto che rispetta il discente maggiormente di qualsiasi altra lingua, perché anziché riempirlo di diffi­coltà, umiliandolo, l'esperanto si adatta all'istin­to naturale dell'uomo che generalizza le regole e le strutture grammaticali. In questo modo, dopo il periodo iniziale si entra in confidenza con la lingua sentendosi ben presto a proprio agio.

Ciò deriva dal fatto che la lingua internazio­nale richiede per se stessa una capacità di dedur­re più che una capacità di memorizzare. Cioè si affida più sull'intelligenza dell'individuo che sulla sua memoria».

L'esperanto è una lingua scritta con l'alfabe­to latino, con struttura flessivo-agglutinante, a fo­netica univoca, con solo sedici regole grammati­cali fondamentali, prive di eccezioni. Il lessico è formato da radici scelte tra quelle ricorrenti con maggiore frequenza nelle lingue classiche e mo­derne, delle quali costituisce cosi una felice sin­tesi.

L'uso di prefissi e di suffissi, con significato determinante e costante, consente la facile for­mazione di un'ampia gamma di parole derivate, atte a esprimere ogni sfumatura del pensiero, con perfetta adesione al concetto da manifestare, con sforzo mnemonico ridotto.

Una dichiarazione di 27 membri dell'Acca­demia francese delle scienze definì l'esperanto un capolavoro di logica e di semplicità; queste caratteristiche, oltre alla neutralità, sono infatti essenziali affinchè una lingua possa dirsi atta al ruolo di lingua transnazionale.

L'esperanto si può efficacemente imparare tramite i computer, oltre a essere facilmente ac­cessibile per la sua struttura ai popoli di qualsiasi gruppo linguistico e agli individui di ogni grado culturale.

E importante notare che esso manifesta una notevole efficacia propedeutica per l'apprendi­mento di altre discipline e, particolarmente, delle lingue straniere, per via della sua struttura gram­maticale e della sua logicità.

Non è poi da trascurare l'apporto alla forma­zione di una coscienza individuale più aperta ai problemi della convivenza umana.

Nonostante le riserve, i pregiudizi, la disat­tenzione e, peggio, la disinformazione non sem­pre serena, che ne frenano l'espansione, l'espe­ranto può già contare su innumerevoli gruppi e centri didattici sparsi in ogni parte del pianeta, su una fiorente produzione letteraria e scientifica (40 mila titoli solo alla Biblioteca nazionale bri­tannica e, per l'Italia, oltre 6.000 titoli presso l'Archivio di Stato, nei Castello Malaspina di Massa Carrara). In diverse università, come quel­la di Paderborn in Germania e di Budapest in Ungheria, o quella di Torino, o come l'Accade­mia internazionale delle scienze, con sede a San Marino, l'esperanlologia è materia curricolare e la lingua è impiegata per lezioni, esami, tesi di laurea e documentazione d'archivio e di segrete­ria.

L'uso dell'esperanto in compact disk, opu­scoli turistici, cataloghi e prospetti commerciali, in Internet e in radio è in continuo aumento.

Ciò nonostante c'è chi afferma che l'esperan­to "non ha cultura". Ma perché una lingua che si pone come ponte tra le culture dei vari popoli de­ve obbligatoriamente averne una propria? Non sarebbe sufficiente che possa recepire ed espri­mere tutte le sfumature del nostro pensiero?

L'Assemblea generale dell'UNESCO ha ri­conosciuto più volte il fattivo ruolo svolto dall'esperanto negli scambi culturali tra le nazio­ni, attribuendo all'Associazione mondiale per l'esperanto (UEA) lo statuto consultivo. L'UEA si articola in associazioni nazionali aderenti e dispone di una rete di oltre 3.500 delegati presenti in ogni parte del mondo.

Valutando queste considerazioni, richiedia­mo di istituire l'insegnamento dell'esperanto e il suo utilizzo in parallelo alle attuali lingue di la­voro usate nella segnaletica stradale e turistica e nei documenti internazionali, quali passaporti, patenti, eccetera, perché solo indirettamente, con questo mezzo, possiamo costituire un baluardo naturale per la sopravvivenza e la difesa della pa­rità linguistica e culturale di tutti a cominciare da quella italiana, riscattandola cosf dall'attuale cie­co servilismo.

Nella costituzione dell'UNESCO è scritto che «le guerre cominciano nella mente degli uo­mini e che perciò proprio nella mente si devono cominciare a costruire le difese» pertanto consci che la lingua può essere un elemento di efficace, sostanziale coesione che sollecita e agevola l'in­tegrazione europea e mondiale, ma che non deve essere causa della distruzione della biodiversità linguistica esistente e dell'italiano in primo luo­go, pensiamo che la diffusione di una lingua transnazionale e neutrale vada proprio in tale senso.

Pertanto si chiede l'approvazione della pre­sente proposta di legge. Con essa, come è evi­dente dal testo proposto e dalla presente relazio­ne, l'insegnamento e l'uso dell'esperanto non vengono a sostituire quelli delle lingue straniere, ma si affiancano agli insegnamenti linguistici già ammessi nella scuola, come già avviene ad esem­pio in Ungheria sin dal 1995. [...].



PROPOSTA DI LEGGE



Art. 1.

1. Tra gli insegnamenti elettivi di lingua stra­niera nella scuola statale dell'obbligo, è introdot­to l'insegnamento della lingua internazionale esperanto.

2. L'insegnamento di cui al comma 1 è isti­tuito secondo un programma e orari stabiliti con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'univer­sità e della ricerca, di seguito denominato "Mini­stro", con le modalità previste dalla legislazione vigente per le lingue straniere.

3. Con decreto del Ministro sono altresì sta­bilite le modalità per la costituzione di cattedre e di incarichi di insegnamento della lingua interna­zionale esperanto.



Art. 2.

1. Fatto salvo quanto previsto dall'articolo 1, comma 1, il Ministro può istituire, con proprio decreto, l'insegnamento della lingua e della lette­ratura esperanto, in conformità alle disposizioni vigenti per gli insegnamenti e i programmi di lin­gue e di letterature straniere, nelle scuole e negli istituti il cui piano di studi comprende l'insegna­mento di almeno due lingue straniere.

2. Il Ministro provvede a fornire adeguata informazione e sensibilizzazione sulle motivazio­ni della scelta della lingua internazionale espe­ranto.



Art. 3.

1. Con decreto del Ministro, ai sensi dell'arti­colo 40 del testo unico di cui al decreto legislati­vo 16 aprile 1994, n. 297, sono stabiliti i titoli validi per l'ammissione ai corsi di abilitazione di lingua e letteratura esperanto e le relative classi di concorso.

2. Fino a quando non siano istituiti i corsi universitari di lingua e letteratura esperanto, possono essere ammessi ai corsi di abilitazione candidati in possesso del diploma di laurea e del diploma di magistero, rilasciato dall'Istituto ita­liano di esperanto, oppure in possesso di diplo­mi universitari stranieri riconosciuti equipollen­ti alla laurea italiana in lingua e letteratura espe­ranto.